Shabbat…

Lo Shabbat costituisce per noi ebrei il più forte antidoto contro l’idolatria. Lo si evince chiaramente dalla battuta d’arresto con cui la Torah (Shemòt, 31; 13-17) interrompe l’elencazione di tutti gli oggetti necessari al funzionamento del Santuario per ricordarci, ancora una volta, la “costruzione” dello Shabbat. Proprio nel mezzo del progetto più entusiasmante e laborioso, quello dell’edificazione del Tempio, e immediatamente prima del fattaccio del vitello d’oro, la Torah ritiene necessario ricordarci che la costruzione del Santuario dello spazio deve interrompersi quando inizia lo Shabbat, il Santuario del tempo. La sospensione di ogni attività durante lo Shabbat serve a insegnarci, come nell’etica ebraica il fine non giustifica i mezzi, mai, e che persino nell’edificazione del Santuario, la Comunità non deve perdere il senso della propria direzione lasciandosi sopraffare dall’impeto e dalla smania di costruire. In un’epoca in cui tutto è monetizzabile e nella quale ci sembra di non riuscire più a interrompere perché ci sentiamo sempre in ritardo, il tempo manca, il tempo non c’è. Non si riesce a raggiunge mai la propria meta, che si rivela spesso fine a se stessa, come una forza che non si lascia più manovrare. Fare e costruire lo Shabbat non vuol dire solo trattenersi dal lavoro, ma anche trattenersi in sé, tornando a se stessi. Significa raccogliersi per lasciare spazio intorno a sé, prendendo quella distanza, dal consueto e dal quotidiano, che fa sì che tutto appaia in una nuova luce. Affanno, ansia, desiderio di captazione, caratterizzano i rapporti con le persone e con i progetti e finiscono spesso per coprirli, per renderli inaccessibili e per farsi divorare da questi. Lo Shabbat è la pausa momentanea per ascoltare la nostra voce interiore, un’interruzione, per chiederci chi siamo e dove stiamo andando, nel timore che l’agitazione, le energie profuse, i conflitti intrapresi (che la maggior parte delle volte non hanno neppure un perché) non ci facciano dimenticare i valori che giustificano l’esistenza stessa di una Comunità ebraica e delle persone che la compongono.

Roberto Della Rocca, rabbino

(21 marzo 2017)