Setirot – Vicini e lontani
Ogni tanto, facendo ordine tra carte e cartacce più o meno vecchie, ci si imbatte in documenti che testimoniano accanite polemiche, battaglie portate fino allo stremo delle forze, divisioni che paiono tsunami irreversibili. Plichi di carta (anche intesi come files digitali) che, una volta divisi per ordine cronologico, dimostrano coincidere con le elezioni per il rinnovo degli organismi comunitari, insomma essere null’altro se non contrapposizioni di liste e persone in climi elettorali roventi.
Presi poi dalla curiosità di andare un minimo a ricostruire, si scopre che il copione è sempre pressoché identico e si ripete – almeno a Milano – da decenni. Sto parlando, ovviamente, di concezioni differenti di accoglienza, di aperture e di chiusure, di percorsi verso il ghiur, di concezioni divergenti di ascendenza, di seme/stirpe d’Israele. Fin qui – si dirà – nulla di nuovo. Verissimo, ho scritto una banalità risaputa. E banale è forse anche la reazione che questo mettere le mani tra le carte mi provoca. Delusione, tristezza, rabbia… Passata la corsa alla preferenza, della questione, pubblicamente, non si parla più. Si va avanti. Con uomini e donne che soffrono, si lacerano, si allontanano. Fino alle prossime urne. Allora sì che “lontani” e “vicini” torneranno sulla bocca di tutti. Allora ne ri-parleranno in molti, laici e religiosi, rabbanim e cariche comunitarie.
Posso dire? Che brutto spettacolo.
Stefano Jesurum, giornalista
(23 marzo 2017)