Periscopio – La viltà dell’odio
Il fiume melmoso dell’odio anti-israeliano, che ormai si preoccupa sempre meno di mascherare la sua natura squisitamente antisemita, continua a scorrere indisturbato per le nostre strade, emanando il suo sinistro odore di violenza, viltà, ignoranza, stupidità. È un fiume che cresce di giorno in giorno, gonfiato da una pioggia acida ininterrotta, e incontra ben pochi ostacoli. Parecchi ne godono, pochi se ne lamentano, pochissimi cercano di contrastarlo, e la grande maggioranza delle persone – ed è questo il dato che ci pare più triste e preoccupante – mostra di non accorgersene, o di non importarsene minimamente. Per fermarci solo alla cronaca più recente, apprendiamo che una signora continua a chiedere – e spesso a ottenere – la concessione di sale pubbliche per la proiezione di un suo allegro filmetto, intitolato “Israele, il cancro”; che i rappresentanti degli studenti di un importante Ateneo italiano hanno chiesto ufficialmente al Senato Accademico di interrompere ogni rapporto con lo stato lebbroso; che una sala municipale della capitale d’Italia era stata concessa – salvo successivo ripensamento – per la promozione di un’analoga iniziativa di boicottaggio; che sulla stessa linea si sta muovendo l’Amministrazione della terza città d’Italia (sui cui successivi ripensamenti non c’è da fare molto affidamento). E l’elenco potrebbe continuare.
Non abbiamo, almeno in questo momento, particolari commenti da fare su queste persone e le loro attività. Fra l’altro, è così triste e deprimente dovere dire sempre le stesse cose. Purtroppo, però, la rabbia e la costernazione allontanano la noia, che, se non fossero cose così preoccupanti e serie, avrebbe certamente ragione di esserci. L’unica cosa che vorrei invece dire è come, tra le varie storture provocate da questo fenomeno morboso e distruttivo, ce n’è anche una, di tipo puramente filologico, che, a mio avviso, contribuisce molto all’imperante faziosità e disinformazione. Mi riferisco all’uso, costantemente adoperato dai nostri mass media a proposito di questi personaggi e queste iniziative, dell’aggettivo “filo-palestinese”. Mai, a mio avviso, nella pur ricca casistica dell’umano linguaggio, c’è stato un più incolmabile divario tra significante e significato, mai parola è stata usata in modo più falso ed errato. Cos’hanno, questi comportamenti, di filo-palestinese? In che modo aiutano la Palestina? Anche un bambino, non accecato dall’odio e dalla propaganda, capirebbe che tutto ciò – oltre, ovviamente, a fare crescere la ripugnanza verso Israele, presentato come un orrendo bubbone iniettato nella terra da un dio malvagio – non farà che legare sempre più a filo doppio la Palestina e tutti i suoi abitanti a un futuro di buio, disperazione e tragedia. Nei libri di storia quelli che colpivano gli ebrei per avere ucciso Gesù sono forse ricordati come amici di Cristo? e chi li perseguitava in quanto bolscevichi, è definito amico del liberalismo? Chi li ha odiati come capitalisti, è stato un paladino della classe operaia? E chi ha promulgato le leggi razziali, è stato un amico della “razza ariana”? E perché, allora, questi qua sarebbero amici della Palestina?
Perché non li chiamiamo per quello che sono, ossia nemici?
Mi rendo ben conto che, a questa mia osservazione, si potrebbe obiettare che sono le stesse legittime autorità della Palestina a considerare questi signori, senza eccezione alcuna, come loro amici. E sono ben consapevole, purtroppo, che è vero, e che i primi nemici della Palestina stanno nei suoi stessi confini. Di qui il mio profondo sconforto, la mia triste convinzione che, su questa china, si andrà scivolando sempre più giù, e potrà accadere qualcosa di peggio, mai di meglio.
Francesco Lucrezi, storico
(29 marzo 2017)