Società – Convivere è l’antidoto all’odio

L’Europa che celebra i 60 anni dei Trattati di i Roma è segnata da un rivolo di intolleranza che scorre fra Buch, East London e Malmö. Ciò che accomuna il piccolo centro tedesco, le periferie londinesi e la terza maggiore città svedese è la dinamica dell’ostilità nei confronti degli stranieri: si sviluppa maggiormente nei quartieri limitrofi a quelli popolati dagli immigrati ma dove gli stessi immigrati sono pressoché assenti. Ad anticipare questo fenomeno sono stati, nel 2011, i sociologi Jens Rydgren e Patrick Ruth del-l’Università di Stoccolma redigendo uno studio sulle comunità che vivono «sufficientemente vicino agli stranieri per sentirsene minacciati ma ancora troppo lontano per conviverci». È una declinazione della teoria dell’«Effetto Halo», elaborata negli Anni Venti dallo psicologo americano Edward Lee Thorndike, in base alla quale guardando l’aspetto esterno di una persona o di un gruppo di individui si sviluppano dei pregiudizi nei loro confronti. Se osserviamo da vicino la dinamica dell’avversione contro gli stranieri che distingue Buch, dove «Alternativa per la Germania» lo scorso anno ha raccolto il 22 per cento dei suffragi, ci accorgiamo che nasce proprio in strade e quartieri dove gli immigrati scarseggiano a differenza di quanto avviene nella vicina Berlino dove la Germania esalta il volto di una società multi-culturale. Sempre con l’«Effetto Halo» il politologo britannico Eric Kaufmann spiega la trasformazione di East London: negli Anni Settanta era una roccaforte dell’estrema destra ma l’arrivo dei migranti ha spinto i gruppi neonazisti fuori, verso i quartieri limitrofi dove ora prevalgono i bianchi e anche il razzismo. E Malmö, la città scandinava più segnata da simili tensioni, ripete tale attrito fra quartieri tanto vicini nell’urbanistica quanto lontani nella composizione etnica. Basti pensare che il fulcro dei disordini più violenti negli ultimi anni è il quartiere di Rosengàrd dove l’86 per cento dei residenti è nato all’estero. Più la separazione fra residenti e stranieri è netta, più genera intolleranza reciproca. E una dinamica che ripete nel cuore dell’Europa le contrapposizioni violente fra tribù vicine e rivali che distinguono altri popoli e culture. Tale versione dell’«Effetto Halo» deve farci riflettere anche in Italia perché su circa 6000 Comuni sono poco più di 2700 ad aver finora accettato l’arrivo di migranti. Con le motivazioni più diverse – dalla oggettiva carenza di strutture ai legittimi timori per la sicurezza fino alla inaccettabile ostilità pregiudiziale – la maggioranza dei sindaci del nostro Paese rifiuta l’arrivo di profughi e ciò pone le premesse per la ripetizione di quanto avviene in luoghi come Buch, East London e Malmö ovvero la creazione di aree urbane senza migranti a fianco di aree urbane con migranti. Tale squilibrio è destinato a generare intolleranza e tensioni perché spinge le opposte comunità a guardarsi con sospetto, temersi e in ultima analisi a violenze reciproche. Se l’Italia ha il vantaggio di essere stata investita dal fenomeno delle migrazioni di massa per ultima fra i grandi Paesi europei ha anche la responsabilità di evitare gli errori altrui: l’assenza di ghetti e banlieues nelle nostre città già costituisce una importante protezione dallo sviluppo di estremismo indigeno ma ora bisogna scongiurare il domino negativo dell’«Effetto Halo». E ciò significa, da parte di governo ed autorità locali, creare le migliori condizioni possibili per consentire ad ogni Comune di aprire le porte ai migranti, offrendo loro integrazione in cambio del più rigido rispetto della legge e delle tradizioni locali. Così come i Comuni che ritengono di garantire la propria sicurezza con l’esclusione degli stranieri devono render-si conto che è vero l’opposto. È una sfida che richiede pianificazione, logistica e ingenti risorse ma vincerla pub consentire all’Italia, e all’Europa, di produrre un antidoto contro l’intolleranza e dunque diventare un posto migliore. O

Maurizio Molinari, La Stampa, 26 marzo 2017