Integrazione
Ho conosciuto un uomo di origine latina proveniente dagli Stati Uniti. Da una zona degli Usa tuttora abitata da molti nativi americani, quelli che da piccoli avremmo chiamato indiani. Confrontando quindi la condizione della sua gente con quella delle varie tribù, quest’uomo mi ha detto più o meno così: “Sai, noi ispanici siamo meno legati alla nostra cultura d’appartenenza; io per esempio capisco ancora un po’ di spagnolo, ma non lo parlo bene, e i miei figli esclusivamente inglese. Noi vogliamo integrarci, non abbiamo tempo per stare a pensare alla nostra identità culturale. Per loro invece è il contrario: tengono moltissimo alla loro tradizione e questo impedisce una completa integrazione e l’inserimento nella modernità con tutte le sue incredibili opportunità”. Questa frase – così superficiale e così chiara, sostanzialmente letterale – mi è sembrata molto interessante, un’esemplificazione brutale di quello che viene affrontato in tutti i popoli e in tutte le culture dalla notte dei tempi. Anche dagli ebrei, che a proposito di tradizione e innovazione hanno quella favolosa storia talmudica di Mosè che viene catapultato in un’accademia talmudica molti secoli dopo la sua morte: assistendo alla lezione, Mosè non capisce niente delle leggi che vengono discusse; a un certo punto uno studioso domanda a un altro dove abbia appreso quelle norme. Al che il secondo risponde con sicurezza: “Tutto ciò che sappiamo lo dobbiamo a Mosè Nostro Maestro sul Monte Sinai”. Cosa conservare? Cosa cambiare? Come aprirsi senza assimilarsi, come evolversi senza perdersi?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(4 aprile 2017)