La visione della pace
Nella tradizione vagamente religiosa della civiltà occidentale non si parla mai di denaro; potete domandare a un uomo o a una donna come sia la loro vita intima, coniugio compreso, e non vi risparmierà dettagli. Provate però a chiedere quanti soldi ha in banca e vedrete il suo volto trasfigurarsi in una smorfia feroce. No, non si può fare perché l’intimità è da sempre esibita, mentre gli interessi sono da sempre simmetricamente celati da una spessa coltre d’ipocrisia.
Lo spettro degli interessi, essendo vasto quanto non mai, potremmo per oggi arrestarlo nell’ambito di una casella significativa: quali sono i (legittimi) interessi dell’ebraismo italiano? Indi: coincidono con quelli di Israele? L’ultima domanda è agevole da rispondere, in quanto gli interessi possono intersecarsi, ma non coincidere del tutto. Con ciò, si fornisce risposta anche al primo quesito, perché gli ebrei italiani o in Italia non dovrebbero essere indifferenti alla sorte degli altri ebrei, in particolar modo laddove entri in questione la loro sopravvivenza e la loro dignità.
I venti di bufera che spirano dal Medio oriente, si riflettono da sempre sull’Europa, per investire di primo acchito gli ebrei, quasi che fossero un laboratorio, per poi colpire puntualmente ogni altro strato. Ne consegue che l’ebraismo italiano, ammesso che sia consapevole dei propri interessi – impresa meno scontata di quanto appaia – dovrebbe in tesi essere interessato anzitutto alla pace.
Lo so che in fondo è un dettaglio, ma gli ebrei vivono barricati in tutta la Diaspora o perché investiti da violenze oppure perché timorosi di subirne. Basterebbero queste insidie per essere interessati alla pace e per promuoverla nel nostro Paese, non già avverso la controparte bensì assieme ad essa: non si dovrebbe importare il conflitto mediorientale bensì esportare la pace. Non la pace dei parolai, che in neo lingua orwelliana assume ben altro significato, bensì quella vera, il cui impasto è fatto dall’accettazione del diverso.
All’uopo, sarebbe essenziale un avviso ai naviganti, ebrei compresi. La pace non dipende solo dagli ebrei o solo dagli arabi, ma da tutti e due. Come ha giustamente asserito Amos Oz, la pace potrà venire soltanto da un compromesso. È alquanto inutile scomodare la storia, i torti, il diritto internazionale e soprattutto la titolarità delle terre, perché non sarà una visura ipotecaria e catastale a salvarci, ma la reciproca volontà di pace. Per ora tale volontà non si vede (Amos Oz la vede?), mentre ciò che si scorge distintamente è l’odio, attraverso iniziative dove la prima vittima è, more solito, la verità. Ma noi non dobbiamo disperare.
Emanuele Calò, giurista
(4 aprile 2017)