L’assenza assente
Tra i vari auguri che ci si scambia per Pesach ci sono anche animazioni o filmati spesso molto carini; alcuni raccontano con mezzi vari l’uscita dall’Egitto così come è narrata nei primi capitoli dell’Esodo. Colpisce, dunque, la presenza costante di Mosè, o, meglio, la sua mancata assenza. Nell’Haggadah di Pesach, come è noto, Mosè quasi non compare: viene nominato una volta sola, incastrato dentro una citazione che in realtà parla d’altro (il numero delle piaghe), ed è definito come “Suo (del Signore) servo”. Meno di così non si può: se non fosse stato nominato per nulla almeno avrebbe avuto intorno a sé un alone di mistero.
Nei filmati di auguri, invece, Mosè compare spesso, così come – se ben ricordo – veniva nominato spesso anche nell’Haggadah dell’Hashomer Hatzair (almeno, in quella che si usava venti o trent’anni fa). Dunque, i “laici” sentono il bisogno di un capo ben definito, con nome e biografia dettagliata, più di quanto lo sentano i “religiosi”? È un’ipotesi affascinante (e non troppo originale), ma forse un po’ azzardata. Semplicemente, quando si parla di uscita dall’Egitto a tutti viene in mente la narrazione lineare della Torah e non quella in forma di midrash, con un complicato gioco di spiegazioni e citazioni, che costituisce il nucleo centrale dell’Haggadah di Pesach. L’Haggadah è troppo complessa e problematica per essere sintetizzata efficacemente in un filmato di pochi minuti; il suo scopo non è certo quello di farci dimenticare cosa narra la Torah ma aiutarci a riflettere su questa narrazione. Indubbiamente la quasi assenza di Mosè è un bello spunto di riflessione; cosa si può dedurre dall’assenza dell’assenza?
Anna Segre
(14 aprile 2017)