Liberati e liberatori

Anna SegrePalestinesi, sionisti, americani, no Tav, Maori. Chi tra questi ha partecipato alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo? E chi tra questi è considerato abitualmente di casa nelle celebrazioni del 25 aprile? Basta provare a rispondere a queste due domande per constatare che il 25 aprile è una festa bizzarra, una miniera di paradossi. C’è chi parla allegramente di Resistenza contro la Tav (o magari contro l’euro), come se si trattasse di una continuità evidente di per sé, che non necessita di spiegazioni. E al contempo chi ha davvero liberato l’Italia non sempre viene riconosciuto adeguatamente. Giustamente ci scandalizziamo se vengono fischiati gli stemmi della Brigata Ebraica, ma dubito che una bandiera americana sarebbe trattata molto meglio. Quanto ai Maori neozelandesi, devo ammettere che so della loro partecipazione alla liberazione dell’Italia solo perché da piccola mi capitava di camminare in montagna al ritmo dell’inno del Battaglione Maori cantato dal nostro amico comandante partigiano Silvio Ortona. Altrimenti temo che non ne saprei nulla, come – immagino – la stragrande maggioranza degli italiani.
Naturalmente non sta scritto da nessuna parte che il 25 aprile non possa essere la festa di tutti, anche di chi proviene da storie diverse. Se Angela Merkel partecipasse a qualche celebrazione per la Liberazione in Italia lo troveremmo strano o scandaloso? Probabilmente no. Qualcuno le direbbe che in quanto tedesca non ha il diritto di condividere la nostra gioia per la liberazione dai tedeschi? Non credo proprio. Se la leadership tedesca di oggi rinnega il nazismo e riconosce la resistenza al nazifascismo come un valore, se la nostra festa è diventata così universale da coinvolgere anche i discendenti dei nemici di allora, non possiamo che esserne felici. Dunque in teoria il fatto che la leadership palestinese di settant’anni fa si fosse schierata dalla parte del nazismo non dovrebbe essere in sé un ostacolo alla presenza di sigle palestinesi nelle manifestazioni. Il problema è capire se si partecipa per prendere le distanze dai valori di allora oppure per ribadirli. Ed è qui che le percezioni divergono, perché ovviamente a parole tutti si dichiarano antifascisti, ma certe manifestazioni di ostilità preconcetta verso Israele e le critiche alla sua stessa esistenza mostrano a volte un’inquietante continuità rispetto all’antisemitismo di settant’anni fa. Tanto più che non si tratta di palestinesi veri e propri, ma di italiani che spesso danno l’impressione di aver sposato la causa palestinese solo come pretesto per dare addosso agli ebrei.
Chi non è disposto a prendere le distanze dai valori propagandati allora dal fascismo e dal nazismo dovrebbe essere considerato fuori posto nei festeggiamenti per il 25 aprile. Tutti gli altri dovrebbero essere benvenuti, e più di tutti i liberatori, a cui i liberati hanno il dovere di manifestare gratitudine. Sembrano tutte ovvietà, e metterle in discussione sarebbe paradossale; ma il 25 aprile è, appunto, la festa dei paradossi.

Anna Segre

(21 aprile 2017)