nascite…

Per motivi demografici e forse anche in parte legati all’uso sinagogale, sono poche le comunità italiane dove almeno un venerdì sera al mese si canti il componimento “Maskil Michtam” del rabbino Mordechai Lattes di Roma vissuto probabilmente nel secolo diciottesimo.
Si tratta di un breve piyut che nel rito italiano, benè romi, viene cantato dopo l’accoglienza dello Shabbat quando, nella settimana precedente quello stesso Shabbat, nella comunità sia nato un bambino.
Non è questa la sede per analizzare il dato demografico e non è di mia competenza, ma da rabbino mi limito a notare che a Gerusalemme, all’interno dei ritmi esistenziali della Comunità italiana, questo piyut viene cantano almeno una volta al mese, con momenti eccezionali come nelle ultime due settimane, dove è stato cantato per due venerdì di seguito “grazie” alla famiglia di Alberto e Barbara Piperno הי”ו, ai quali vanno i nostri auguri per lunghi anni di vita attiva da nonni.
Se a Gerusalemme, le belle parole di rav Mordechai suonano costanti e gioiose, nella Diaspora italiana dobbiamo tristemente notare che esistono comunità dove il piyut è stato messo a prendere polvere in libreria, tra un testo di Omero ed un antico siddur di famiglia. Ed allora mi chiedo come mai, tra i tanti discorsi di inclusione e di apertura al mondo anche in chiave di rafforzamento numerico e quindi identitario, non si senta una voce che parafrasando rav Mordechai non gridi: “È buono ed bello un bimbo che si circoncida l’ottavo giorno…” In altre parole perché nessuno canta la necessità di un progetto di politica demografica, di sostegno alle famiglie, di scuole ebraiche gratuite, di priorità e di importanza di una crescita demografica ebraica prima ancora che di salvaguardia del patrimonio immobiliare o degli stessi beni culturali? A chi trasmetteremo quegli stessi beni se le nostre nascite sono così poche? Forse le nostre energie sono troppo spesso distratte da politiche demografiche che non hanno mai sentito la voce del rabbino comunitario intonare l’altro piyut che annuncia la nascita di un bimbo, scritto da rav Tuvia, sempre nel diciottesimo secolo: “Besiman Tov Ben Ba Lanu… Con un buon segno è arrivato per noi un bambino, che nei suoi giorni possa giungere la Redenzione…”. O quantomeno, che nei nostri giorni, se non dovesse arrivare la Redenzione, che possa essere messa in agenda una domanda: “Come rafforzare il numero delle nostre nascite?”.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(21 aprile 2017)