FESTEGGIANDO ROSH CHODESH La benedizione della nuova luna
La festività del capomese (Rosh Chodesh) porta all’attenzione i temi del rinnovamento e della marginalità. E dunque anche del riscatto e della redenzione che la marginalità richiama e richiede. C’è il rinnovamento del ciclo riproduttivo della donna, che ha il compito della procreazione, della cura e istruzione della prole. E tuttavia trova solo un posto marginale nelle sfere amministrative, politiche e religiose. C’è il rinnovamento del popolo Israele, che ha accettato la Torah tramandandola per millenni, ma ha dovuto vivere in marginalità, subendo discriminazioni e violenze di ogni sorta. E c’è il rinnovamento della luna, che governa il trascorrere del tempo, ma non brilla di certo come il sole. La stessa festività di Rosh Chodesh è considerata ‘minore’, nonostante il capomese (primo precetto) segni la nascita del calendario ebraico, rappresentando la costituzione stessa del popolo d’Israele, il suo cominciamento. Tanto importante che Rashi, il grande commentatore del Talmud, sosteneva che la Torah potesse cominciare da questo verso biblico: «Questo mese è per voi il capo dei mesi; sarà cioè per voi il primo dei mesi dell’anno» (Esodo, 12,2). Il ciclo della donna suggerisce un legame stretto con il ciclo lunare. E l’affinità – non solo biologica – trova riscontro nei testi della tradizione. Non a caso il capomese è giorno pienamente festivo per la donna, che si astiene dal lavoro e si riposa. Il privilegio trova origine nell’episodio del vitello d’oro, in Esodo 32,2 («staccate i pendenti d’oro che sono agli orecchi delle vostre donne dei vostri figli e delle vostre figlie e portatemeli»). Secondo i saggi furono gli uomini a prendere gli ornamenti alle loro donne, che non li vollero consegnare spontaneamente. Si resero quindi meno colpevoli e Dio volle ricompensarle con l’osservanza più rigorosa del novilunio. Ma che con un perpetuo rinnovamento nel mondo a venire, come la luna nuova. Il legame delle donne ebree con Rosh Chodesh è ancora così forte che esistono nel mondo gruppi femminili che si riuniscono per celebrarlo, in modalità anche molto diverse tra loro. E ciò avviene in alcuni casi sfidando i divieti della tradizione, come per il gruppo Donne del muro (Women of the Wall) che ogni capomese si reca al muro del pianto con lo scialle di preghiera e i tefillin, portando con sé i rotoli della Torah. In origine erano l’osservazione e l’attestazione della luna nuova a fissare il calendario, mese per mese. Il Sinedrio stabiliva il novilunio sulla base della testimonianza di due ebrei che avevano il compito di osservare da un punto alto il primo spicchio di luna e di segnalarne subito l’apparizione all’Assemblea. Questa, valutata e validata la congruenza tra le due testimonianze, fissava il capomese, annunciandolo in terra d’Israele e in diaspora. Tuttavia il calendario lunare, sfasato rispetto a quello solare che stabilisce l’alternanza delle stagioni, creava seri problemi di allineamento. Ciò perché i due astri non procedono di comune accordo: ogni anno il calendario lunare di dodici mesi resta indietro di circa 10 giorni e 21 ore rispetto a quello solare. Era quindi macchinoso fissare le date delle festività, molte delle quali legate al ciclo delle stagioni e dunque al sole. Si rese necessario adottare un sistema lunisolare, le cui procedure, raccolte nel Talmud, rimasero in vigore fino al IV secolo. Le cose si semplificarono nel XII secolo, quando Maimonide mise a punto un apposito sistema matematico per il calcolo fisso del capomese e del numero dei giorni dell’anno. La struttura del calendario ebraico è dunque doppia: solare e lunare. Ma se il sole rappresenta l’immobilità («non c’è nulla di nuovo sotto il sole», Ecclesiaste, 1, 9) la luna è perpetuo rinnovamento, archetipo della donna e del popolo ebraico. Del resto, lo stesso termine Rosh Chodesh contiene la radice chadàsh (nuovo) che richiama il rinnovamento nel novilunio. Come osserva Roberto Della Rocca in “Con lo sguardo alla luna” (Giuntina, 2015) «per l’ebraismo l’uomo deve tendere a rinnovarsi ogni mese alla ricerca della propria identità come accade nel ciclo lunare e come è suggerito dal ciclo biologico della donna, posta, non a caso, a livello più alto dell’evoluzione». Se nella coscienza ebraica il rinnovamento della luna è simbolo di rinnovamento spirituale e psicologico non stupisce la preferenza del popolo ebraico per il ciclo lunare e il rifiuto del calendario gregoriano, basato sul ciclo delle stagioni e adottato dai paesi occidentali. Con gioia e a suon di musica il capomese si annuncia in sinagoga. Tutti insieme e all’aperto si recita la benedizione alla luna, Birkàt Halevanà. Secondo i saggi la testimonianza del novilunio costituiva un forte richiamo per la divina provvidenza nel mondo. E nella stessa preghiera il ciclo della luna richiama più di una volta il rinnovamento del popolo ebraico. Come in questo passo: «Alla luna disse di rinnovarsi, corona di splendore per gli ebrei, che anche essi in futuro si rinnoveranno come lei.» La Birkàt Halevanà permette dunque di elevarsi dal mondo terreno a quello celeste, mettendo in comunicazione con il divino. Non a caso la luna nuova è paragonata al sopraggiungere della Shekhinà, la manifestazione della presenza di Dio. È allora evidente che la benedizione della luna assuma una forte valenza di identità per il popolo ebraico, ma anche di riscatto e redenzione. La redenzione trova riscontro in Isaia 30, 26: «E sarà il chiarore della luna come la luce del sole, e la luce del sole sarà sette volte più forte, come la luce dei sette giorni della creazione, nel giorno in cui fascerà il Signore la frattura del Suo popolo e la piaga della sua ferità guarirà.». Mentre il riscatto terreno è nella stessa storia di Israele, nella tenacia con cui ha difeso le proprie tradizioni. Basti ricordare che ai tempi dopo la distruzione del Tempio del 70 e.v., i versi del Kiddùsh Levanà, ‘David, re di Israel, continua a vivere’ rappresentavano la parola d’ordine che indicava che la preghiera era stata recitata.
Nunzia Bonifati, giornalista
Pagine Ebraiche, aprile 2017