Mokéd 5777 – Dall’esilio all’integrazione,
voci ebraiche a confronto

20170430_095406 (1)Sul Portale dell’ebraismo italiano moked.it rav Roberto Della Rocca, ricordava come la storia ebraica “ci insegna che l’esilio non è soltanto una semplice, per quanto dolorosa, diaspora geografica, ma piuttosto uno stato della coscienza, di chi è costretto a scoprirsi ogni giorno esule fra i suoi simili”. E il tema dell’esilio è tornato spesso nelle diverse e ricche riflessioni protagoniste del Mokéd 5777, la convention dell’ebraismo italiano in corso a Milano Marittima. Un appuntamento di confronto importante per l’Italia ebraica, organizzato dall’Area Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane diretta da rav Della Rocca, e dedicata quest’anno al tema “Edot e de’ot”, ovvero comunità e opinioni. Come hanno ricordato nel giorno di apertura del Mokéd Della Rocca e David Meghnagi, psicanalista e assessore alla Cultura dell’Unione, la quattro giorni di Milano Marittima ha come baricentro il ricordo dei cinquant’anni dall’esodo silenzioso degli ebrei dai Paesi arabi verso Israele ma anche verso l’Italia, come dimostra l’esperienza dei libici a Roma e Milano. Una vicenda su cui sono stati chiamati a parlare grandi esperti internazionali, come lo psicanalista e filosofo francese Daniel Sibony, il ricercatore in scienze umane e professore emerito all’Università di Haifa Joseph Chetrit e il docente di linguistica dell’Università Ebraica di Cyril Aslanov, protagonisti sabato di un panel – coordinato dal direttore della redazione UCEI Guido Vitale – assieme a Myrna Chayo, docente di lingua araba, e Betti Guetta, sociologa del Centro di Documentazione Ebraica di Milano.

Un documentario sulla storia dell’ebraismo libico, presentato da Meghnagi, ordinario dell’International Psychoanalytical Association (IPA), è stato uno dei primi appuntamenti del Mokéd: The forgotten refugees, ovvero la storia di rifugiati dimenticati e su cui riportare la luce e sulla cui esperienza di esilio ma anche di integrazione è necessario riflettere, come hanno ricordato sia rav Della Rocca che Meghnagi così come rav Amedeo Spagnoletto, facendo 20170428_171153riferimento al concetto di inclusione ed esclusione nelle comunità di oggi (nell’immagine, un momento della lezione). “L’esilio – ha spiegato a riguardo il filosofo Sibony, nato a Marrakesh – può essere un fattore positivo, nel suo essere un sentimento di incompletezza a patto che non diventi autocompiacimento”. Un sentimento di incompletezza, tipico dell’ebraismo diasporico, nonché vivo in tutte quelle famiglie ebraiche che hanno vissuto mezzo secolo fa il trauma della fuga obbligata dai Paesi arabi. “A lungo quel mondo – ha spiegato il professor Chetrit, di origine marocchina, parlando dell’integrazione degli ebrei misrachi in Israele – ha vissuto un rapporto contraddittorio con l’establishment israeliano: questi ultimi hanno imposto ai nuovi migranti di cancellare il loro passato in favore della costruzione di un ebreo nuovo, sradicato dal passato”. Un’operazione, ha spiegato Chetrit, che si è poi scontrata con la necessità del mondo misrachi di recuperare la propria storia in quanto parte fondamentale della propria identità nonché strumento necessario per avere un proprio riconoscimento all’interno della società israeliana. E a rilevare questa situazione, con occhi sapientemente ironici, anche il film presentato dalla presidente dell’Unione Noemi Di Segni Sallah Shabati: capolavoro del regista israeliano Ephraim Kishon che mette in luce proprio il tentativo della burocrazia israeliana nei primi anni ’50 di cancellare la cultura, a tratti pittoresca, di una famiglia misrachi guidata dal protagonista, Sallah Shabati.
I lavori del Mokéd proseguono oggi, mantenendo come filo conduttore il tema del rapporto tra ebrei dei paesi arabi, mondo islamico e società che gli hanno poi accolti, dando spazio ai diversi e prestigiosi ospiti della convention.

(30 aprile 2017)