norme…

Come per un caso i festeggiamenti di Yom Ha atzmaùt cadono nei giorni in cui i segni del lutto del periodo dell’’Omer sono più rigorosi. Come se laddove c’è più dolore si trovasse la gioia e viceversa: “…coloro che seminano in lacrime, mieteranno con gioia….” (Salmo 126, 5). Con quale potere i Rabbini, anche se non tutti, hanno potuto aggiungere una festa in un calendario antico? Con quale autorità hanno deciso di interrompere un lutto consolidato da secoli autorizzando per una giornata, pur con molteplici varianti e sfumature diverse, la musica, i balli, la recitazione dell’Hallel, l’omissione del Tachanùn (le preghiere di supplica), l’aggiunta di ringraziamento per i miracoli nella penultima benedizione della Amidà come per Chanukka e per Purìm? Dopo 69 anni dall’istituzione di questa ricorrenza gli interrogativi sulle modalità dei festeggiamenti rimangono, per qualcuno, viceversa, non si sono mai posti e non hanno intaccato più di tanto una struttura religiosa consolidata. Un dato è comunque certo. L’evento stesso della (ri)nascita di Israele come Stato costituisce una sfida per una identità ebraica, composta non solo da fede e valori comuni, ma anche da un sistema normativo – la Halakhà – che si è articolato nei secoli sulla prospettiva che vedeva il popolo ebraico come incapace di fatto di assumere funzioni socio-politiche indipendenti. Il rapporto tra politica e “religione”, tra Stato e Halakhà, tra democrazia ed etica ebraica attraversa l’identità non solo di Israele, ma di tutto il popolo ebraico, in Eretz Israel e nella diaspora. La nascita dello Stato di Israele ha sollecitato e continua a sollecitare, tra l’altro, modifiche e innovazioni anche nel campo della Halakhà. Quando si interpretano eventi, sia piccoli che straordinari come quello della nascita e dell’esistenza dello Stato di Israele in un’ottica sovrannaturale che ha significati che trascendono le leggi della storia anche a noi uomini non è consentito restare immobili.

Roberto Della Rocca, rabbino

(2 maggio 2017)