“Fanatismo e follia collettiva,
vi spiego come funzionano”
“Psicoanalisi del fanatismo e follia collettiva”. Questo il tema su cui interverrà domani a Roma alle 20.30 il noto psicoanalista francese Gerard Haddad (nell’immagine), ospite del Centro Ebraico Il Pitigliani. Prolifico autore di saggi, ma anche traduttore ed editore, Haddad sarà intervistato da Eva Ruth Palmieri.
Ai suoi studi è stato dedicato un approfondimento sul mensile UCEI Pagine Ebraiche all’interno del dossier “Parigi, l’anno del coraggio” curato da Ada Treves e pubblicato a poche ore dall’attacco al Bataclan.
Fanatismo, febbre dell’anima
Noto psicanalista, allievo di Jacques Lacan e discepolo di Yeshayahou Leibowitz, Gérard Haddad è in Francia un volto popolare. Autore, principalmente, ma anche traduttore ed editore, ha pubblicato testi non facili e i suoi interventi sia sul portale ebraico Akadem che su radio e televisioni nazionali hanno un seguito notevole. Destinato ad aumentare. È grande infatti la risonanza che sta avendo il suo ultimo libro, Dans la main droite de Dieu: psychanalyse du fanatisme, uscito a settembre per le Edizioni Premier Parallèle con un tempismo rispetto agli ultimi avvenimenti di Parigi che ha quasi dell’inquietante. L’incrocio fra la psicanalisi e il pensiero religioso non è parte ovvia del suo percorso: Haddad, infatti, nato a Tunisi nel 1940, è stato prima di tutto ingegnere, agronomo, con un passato da ricercatore in Senegal. Racconta di aver scoperto Freud e il suo Introduzione alla psicanalisi in un periodo difficile dell’adolescenza, durante il liceo, e di esserne rimasto così colpito da decidere di diventare medico e soprattutto psicanalista. L’incontro con la malattia mentale di una per sona cara, però, e la realizzazione di come gli ospedali psichiatrici possano a volte essere un luogo di puro orrore lo avevano convinto di non avere le forze per confrontarsi con la follia, spingendolo così in un direzione del tutto diversa. Ci sono voluti poi dieci anni e l’analisi con Lacan per riportare Haddad al suo progetto originario, e grazie al sostegno di quello che sarebbe poi diventato suo maestro si è riavvicinato alla medicina, e infine alla psicanalisi. Proprio l’analisi, e il conseguente percorso di riavvicinamento alle sue radici ebraiche si incrociano nell’ultimo libro, in cui affronta “quella febbre che si impossessa a volta dell’anima degli uomini, portandoli alla convinzione profonda di essere detentori della verità”. Sono domande complesse, quelle a cui vuole rispondere Haddad. Come è possibile comprendere che alcuni individui si precipitino a massacrarne altri? Al fanatismo sino ad ora non è stata trovata altra risposta che la violenza, come per eliminare una parte malata del nostro corpo, mentre nel volume viene proposto una analisi dei molteplici fattori che al fanatismo portano oggi, come già in passato. Per scoprire quali siano i meccanismi mentali e i percorsi psichici che portano a lasciarsi travolgere dal perseguire un’idea fino alle sue estreme conseguenze. È una lettura a volte psicologica, a volte antropologica, quella in cui si è avventurato Haddad, iniziata un giorno a Tunisi, città dove ha passato i primi vent’anni della sua vita, dove era stato invitato per una conferenza sul fanatismo e sulla barbarie. “Abbiamo molto discusso di quella barbarie che senza ombra di dubbio tra tutte le possibili fonti di dolore per gli esseri umani è la più atroce”. E spiega: “Si tratta di un libro che ha una storia un po’ particolare, in realtà, perché mi sono trovato a scriverlo di getto, in poche settimane. Ero e resto convinto che uno psicanalista possa avere qualcosa da dire su questo fenomeno del jihadismo che è in verità una nuova guerra mondiale, una situazione in cui un gruppo di uomini ha dichiarato guerra all’insieme dell’umanità, a tutta l’umanità, musulmani compresi, sciiti in particolare. Ho cercato di far luce come sono capace. Mi è parso che cercare di spiegare il fenomeno possa essere une delle armi che abbiamo, uno strumento per comprendere”. La prima parte del libro dimostra come l’aspirazione radicale all’universale possa portare al fanatismo, come sia una delle matrici stesse del fanatismo. Alla base, la volontà di imporre all’insieme dell’umanità una convinzione, un’ideologia o una credenza di un dato gruppo umano, che si pone come detentore di una verità assouta. E l’idea che se gli altri non condividono questa visione del mondo diventa impossibile raggiungere quella sorta di età dell’oro in cui tutto sarà perfetto. Per arrivarci, dunque, è necessario procedere a dei sacrifici umani, bisogna eliminare tutti coloro che non condividono quel dato sistema di valori. “Si tratta di una volontà di universalizzazione nota – spiega ancora Haddad – una nozione di universale che viene vissuta come il bene per eccellenza. D’altronde non è una novità: è il sogno della torre di Babele, di un mondo in cui parliamo tutti la stessa lingua, le stesse opinioni, e addirittura in cui siamo tutti riuniti sotto un governo mondiale che porterà la pace e la felicità. Ma tutte le esperienze che abbiamo avuto mostrano che questo progetto è mortifero e catstrofico”. Il passaggio logico successivo è una disamina delle posizioni tenute dalle tre grandi religioni monoteiste, e qui il tono di Haddad diventa improvvisamente più fermo, quasi duro: “Bisogna però distinguere fra i monoteismi. L’ebraismo ha una caratteristica sostanziale che lo distingue da cristianesimo e islam: non solo non si pone come universale, ma rifiuta nettamente il proselitismo. E questa è automaticamente una potentissima difesa da ogni forma di fanatismo. Certo, c’è chi cerca di sostenere che quello che succede in Israele sia simile, ma è un errore. È vero che in Israele ci sono degli estremisti, ma non si tratta di quello che noi siamo abituati a considerare una forma di fanatismo religioso. Ci sono dei nazionalisti, come in tutti i paesi del mondo, e anche dei razzisti, certamente, ma si tratta di una società dotata di un sistema di anticorpi fortissimo. L’uomo più straordinario che ho conosciuto, uno dei miei maestri, Yeshayahou Leibowitz, era profondamente antirazzista, e possedeva una eccezionale apertura di spirito. Era un uomo di una fede incrollabile, assoluta, ma nella sua assoluta ortodossia non la pensava come loro, e mostrava una apertura mentale impareggiabile. Non è automaticamente la religione che porta al fanatismo”.
Ada Treves, dossier “Parigi, l’anno del coraggio” (Pagine Ebraiche dicembre 2015)
(3 maggio 2017)