Periscopio – Ripetizioni
Il triste, monotono e tetro ripetersi, anno dopo anno, di eventi sempre uguali, impone spesso anche ai cronisti – a meno che non abbiano cambiato le loro idee – di ripetere, più o meno, i medesimi commenti, cadendo anche in noiose ripetizioni. Dopo avere scritto la mia nota settimanale, dedicata all’ennesima, lugubre sceneggiata dei festeggiamenti per il 25 aprile (che, ogni anno di più, stanno inesorabilmente diventando, più che una celebrazione della Liberazione, una vera e propria festa del fascismo e dell’antisemitismo), mi è venuto il sospetto di avere già detto, in passato, le stesse cose. Sono andato a controllare, ed era proprio così, avevo ripetuto esattamente, inavvertitamente, le stesse osservazioni formulate l’anno scorso (e forse anche, temo, qualche anno precedente).
Colpa dell’età, certamente. Ma – lo dico per consolarmi – anche colpa della monotonia di un mondo che, soprattutto, nelle cose brutte, non cambia mai, anzi peggiora.
Accortomi della ripetizione, avevo già cominciato a scrivere una nuova nota, cambiando argomento. Ma poi ho cambiato nuovamente idea, e ho pensato di ribadire, con qualche ulteriore argomentazione, la mia vecchia posizione, che consisteva – e consiste – in un rispettoso dissenso verso i diversi autorevoli commentatori che hanno denunciato – l’anno scorso e, nuovamente, quest’anno – l’ignoranza dei manifestanti cd. “pro-Pal”, che non sarebbero adeguatamente informati sul ruolo svolto nella Guerra di Liberazione e sul contributo di sangue versato dalla tanto vituperata e odiata Brigata Ebraica.
Su questo non ero e non sono d’accordo, a mio avviso l’ignoranza non c’entra nulla. Anche se, probabilmente, i signori in questione, in tutta la vita loro, non hanno mai aperto un libro, sicuramente capiscono benissimo, a livello epidermico, di cosa si tratta. Non avranno letto i libri di Gentile, e, forse, neanche il “mein Kampf”, ma del nazifascismo conoscono benissimo l’essenza, che è molto semplice: mascelle serrate, muscoli rigonfi, sguardo gelido e truce, irrisione di ogni distinguo e differenza, disprezzo per i deboli e i diversi. E, soprattutto, odio e ripugnanza per gli ebrei, i “diversi” per eccellenza. Saranno pure ignoranti, certamente lo sono, ma almeno questo lo hanno capito, non c’è dubbio. E sanno bene che gli argomenti del 25 aprile stanno loro molto a cuore, sono la loro ragione di vita. Se, quindi, vengono a sapere che, un certo giorno dell’anno, c’è della gente che scende in strada, con bandiere e megafoni, a lanciare slogan su fascismo e nazismo, è normale che vogliano esserci anche loro, in prima fila, sarebbe ben strano se se ne restassero in disparte.
Mi rendo conto che, a queste osservazioni, si potrebbe contrapporre una piccola domanda: ma il 25 aprile è una festa “contro” il fascismo, o “a favore”? Ma la domanda, che, a una prima, superficiale valutazione, potrebbe apparire essenziale e dirimente, è, in realtà, piuttosto ingenua, e mostra di ignorare l’insegnamento, quanto mai attuale, di Ennio Flaiano, che ammonì che in Italia ci sono due tipi di fascisti: i fascisti e gli antifascisti. Perché mai non dovrebbero sfilare insieme?
Prima di prendere una qualsiasi posizione nei confronti delle manifestazioni per il 25 aprile, a mio avviso, occorrerebbe porsi una domanda di fondo: si ritiene che in quella data, 72 ani fa, il male sia stato sconfitto una volta per sempre, e che quindi basti celebrarne la ricorrenza per consacrare i valori della democrazia, come toccando un amuleto? Oppure si pensa che la lotta debba continuare, giorno per giorno, contro i vecchi e nuovi fascisti, di ogni colore (neri, rossi, verdi, arancione ecc.)? Certamente, per chi la pensasse nel secondo modo, sfilare accanto ai nipotini di Hitler, tra gli insulti agli ebrei e i nostalgici della Shoah, comporterebbe qualche piccolo problema di coerenza. Più che comprensibile, pertanto, che la grande maggioranza dei manifestanti preferisca l’altra opzione, difendendo coraggiosamente la democrazia contro dittatori morti e sepolti, ma ignorando prudentemente i razzisti di oggi, anzi andandoci a braccetto. Perché, oltre alla suddivisione di Flaiano, gli italiani vanno classificati anche secondo l’altra celebre distinzione, tracciata da Sciascia ne “Il giorno della civetta”: uomini, mezzi uomini, ominicchi e “quacquaraquà”. E sappiamo quali prevalgono.
Francesco Lucrezi, storico
(3 maggio 2017)