La Francia al cinema
Le elezioni francesi, nel ballottaggio fra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, hanno svelato come in Francia convivano due Paesi in uno, laddove la demarcazione segna la rispettiva prevalenza di organi diversi del corpo umano.
Invero, è parso di rivedere anche i fantasmi dei due premi Oscar François Truffaut (figlio illegittimo di un odontoiatra ebreo) e Jacques Tati. Il primo, un innovatore all’origine della Nouvelle Vague coi Quattrocento colpi e il secondo, un nostalgico impenitente, autore anch’egli di diversi capolavori.
Tati, con Giorno di Festa e, soprattutto, con Mio Zio, dileggiava, rispettivamente, la velocità (ma forse non conosceva Filippo Marinetti) e la tecnica.
Truffaut, che esaltò Alfred Hitchcock in un libro–intervista indimenticabile, finì col recitare con Steven Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo, con uno sguardo sempre proiettato al futuro. Un bel contrasto con Tati, che in Mio Zio contrappone la vita dimessa dello zio Hulot alla ricchezza del cognato Arpel, che abita con moglie e figlio in una casa modernissima ed asettica.
Il fanciullo, nel film da ultimo citato, è affascinato dallo zio che lo spupazza ma noi, da piccoli, eravamo soprattutto affascinati dalla casa futuristica degli Arpel. Nel film non traspare, ma probabilmente Hulot era mantenuto da Arpel così come Paperino dipende da Paperone.
Un’antitesi che Tati avrebbe potuto sciogliere sul versante ideologico soltanto con la decrescita, ingentilita dall’aggettivo “felice”, che però non ne cambia la natura. Intendiamoci: le intenzioni possono pure essere nobili, se non fosse che, fatalmente, taluno decresce e talaltro finisce per giganteggiare. C’est la vie, même dans la douce France.
Emanuele Calò, giurista
(9 maggio 2017)