Inni
Era commovente la folla che acclamava la vittoria di Macron cantando la Marsigliese, l’inno nato dalla rivoluzione francese, in cui si riconoscono tutti coloro che credono nei valori di libertà, uguaglianza, fratellanza. Ma la Marsigliese può essere anche il simbolo di un orgoglio patriottico che implica diffidenza e disprezzo per chi ha un’altra cultura e un’altra storia. Non a caso il canto dell’inno nazionale è un momento chiave del film “A casa nostra” (Chez nous) di Lucas Belvaux (in questi giorni nelle sale italiane), e segna il momento in cui la protagonista è maggiormente affascinata dalla figura della leader di destra Agnès Dorgelle (le hanno dato un nome diverso ma non fa nemmeno finta di non essere Marine Le Pen); e forse la familiarità dell’inno è uno degli elementi che contribuisce a far sentire la protagonista a proprio agio, che la rafforza nella convinzione errata di trovarsi tra persone che condividono i suoi stessi valori.
Anche il nostro inno nazionale può assumere significati diversi se non opposti: basti pensare che “Fratelli d’Italia” è il nome di un partito di destra, e d’altra parte nel 2011 l’inno è stato cantato da molti come gesto di opposizione a un governo di destra che lasciava passare in tono minore il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.
Stesso discorso, ovviamente, per HaTikvah. Forse per qualcuno è (o diventerà) il simbolo disprezzato di un sionismo laico, ma per il momento non è così (o, per lo meno, non in Italia): cantato da ebrei di destra e di sinistra, più o meno osservanti, nelle occasioni più variegate (dalla cerimonia di apertura e chiusura dei campeggi dell’Hashomer Hatzair al seder di Pesach), l’inno sembra unire gli israeliani e gli ebrei della diaspora intorno a valori comuni. Si tratta anche in questo caso di un’illusione?
Anna Segre
(12 maggio 2017)