Qui Roma – Israele e i costi del conflitto
Quali sono gli effetti indotti da uno stato di conflitto nell’economia di un paese? Come valutarli, come quantificarli nel loro insieme? Una domanda quanto mai attuale se riferita alla realtà di Israele, paese che da sempre è costretto a confrontarsi con fortissime minacce sia esterne che interne. Nonostante ciò, una delle economie più avanzate e più orientate all’innovazione, alla conquista di nuove frontiere.
“Se avessimo potuto spendere meno per la sicurezza dei nostri cittadini e investire maggiormente altrove, in settori strategici, dove saremmo oggi?”. È l’interrogativo che si è posta Olga Dolburt, dell’Ufficio Affari Economici e Scientifici dell’ambasciata israeliana, aprendo un incontro su questo tema svoltosi al Centro Bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Ospite d’onore Joseph Zeira, docente di economia all’Università ebraica di Gerusalemme e professore a contratto alla Luiss Guido Carli oltre che presidente della Israel Economic Association e membro dell’Aix Group, un gruppo di economisti e operatori economici israeliani e palestinesi che elabora ricerche sui costi del conflitto e i dividendi della pace. E con lui Rony Hamaui, docente nel dipartimento Economia e Finanza dell’Università del Sacro Cuore a Milano e direttore generale del Mediocredito italiano.
Il professor Zeira, di cui uscirà a breve un nuovo studio anticipato in alcuni suoi contenuti nel corso dell’incontro al Centro Bibliografico, ha affrontato il tema da diverse prospettive: debito pubblico, crisi fiscale, misure addizionali di costo. Ma anche le conseguenze per quanto riguarda lo “human capital”, che gravemente risente della situazione di permanente conflitto e dalla necessità, strettamente connessa, che i giovani svolgano diversi anni di leva militare obbligatoria. Tra gli effetti più tangibili, l’accesso ritardato al mondo dell’università rispetto ai coetanei europei e americani. Ventiquattro anni, la media nazionale.
Non molto rilevanti, ha invece osservato Zeira, le conseguenze che derivano dalle iniziative intraprese a livello internazionale dal movimento di boicottaggio BDS. “L’economia israeliana è talmente diversificata nelle sue esportazioni che per il momento non ne risente più di tanto. È piuttosto – ha affermato il professore – una questione etica e politica”.
(12 maggio 2017)