Tragedie
Dopo quattro ore di Orestea al Teatro Carignano mi trovo due mattine dopo a raccontare agli allievi di quarta ginnasio le leggende relative alla fondazione di Roma (con la variante riferita da Tito Livio secondo cui Romolo viene ucciso dai senatori che poi fanno sparire il corpo portandosi via pezzetti di re nascosti sotto la toga). Mi ritrovo a domandarmi se siano più truculenti i miti dei Greci o quelli dei Romani, ma è davvero difficile dire chi sia il vincitore in questa gara di orrori.
È curioso come nella Torah vicende apparentemente simili abbiano un’evoluzione del tutto diversa: gli odi tra fratelli ci sono, ma prima o poi arriva la riconciliazione; le rivalità producono al massimo allontanamenti e separazioni; l’incesto tra Lot e le figlie non proietta una maledizione eterna sulla stirpe, anzi, proprio da Rut la moabita discenderà il Messia. Mentre Antigone paga con la vita la scelta di anteporre la propria etica alle leggi dello stato, la figlia del faraone, che compie una scelta simile salvando un bambino ebreo contro l’ordine esplicito del proprio padre, non subisce nessuna conseguenza. In altri libri del Tanakh qualche storia un po’ più torbida si trova, ma quelle che raccontiamo più frequentemente sono a lieto fine: esili con ritorno, tentativi di genocidio sventati, nemici sconfitti.
Proprio il popolo ebraico, che così spesso per le sue vicende storiche è associato all’idea di tragedia, pare il meno propenso a raccontare la propria storia in forma di tragedia. Questo apparente paradosso si può spiegare in molti modi: con la differenza tra mito e storia, tra paganesimo e monoteismo, ecc. Non mi azzardo ad affrontare in poche righe un tema così complesso. Noto comunque un fatto sconcertante: quelle storie terrificanti di sacrifici umani, odi inestinguibili tra fratelli, figli dati in pasto al proprio padre, ecc. sono considerate il fondamento dell’etica e della cultura occidentale mentre “vecchio Testamento” è per molti sinonimo di un sistema di valori rozzo, arcaico e superato.
Evidentemente mi sfugge qualcosa.
Anna Segre, insegnante
(19 maggio 2017)