La prova riuscita del Salone del libro
La cultura italiana riparte da Torino

Fra poche ora sarà il momento dei numeri. Alla conferenza stampa conclusiva, non appena chiusi i battenti della sua ultima giornata, per il trentesimo Salone internazionale del libro sarà il momento di un primo bilancio. Ma i numeri, tutti lo sanno già, tutti hanno potuto constatarlo di persona in questi cinque giorni roventi di folla e di cultura, smentendo i profeti di sventura saranno molto confortanti. Questa sera sarà piuttosto il momento di tirare un sospiro di sollievo, e di ripartire in corsa.
A un anno di distanza dalla grande crisi e dalla minaccia di chiusura, di smembramento, la città ha reagito chiamando a raccolta la cultura italiana. La risposta è arrivata e non poteva essere più chiara.
Sorride Massimo Bray, presidente della Fondazione per il libro e di Treccani. “Ce l’abbiamo fatta – commenta – e i segnali che sto raccogliendo da tutte le case editrici e dalle istituzioni che hanno partecipato sono largamente positivi”.
Sorride Mario Montalcini, il manager torinese che è riuscito a tenere il timone durante la tempesta di polemiche e di gelosie che ha accompagnato il rilancio del Salone, si è assunto il rischio di rimettere assieme la vecchia esperienza della grande manifestazione culturale per farne una sfida rinnovata e vincente. “Dei numeri, dei risultati raggiunti – spiega – si parlerà più tardi. Ora si riparte con 365 giorni di lavoro dinnanzi e non solo 120, come è stato per questa difficile edizione del rilancio. Mi dispiace per chi non ci ha creduto e ha preferito restare assente, finendo per mettersi al margine di una grande occasione di crescita comune”.
Il suo riferimento è chiaro, e non vale solo nei confronti dei grandi gruppi editoriali che avrebbero preferito vedere il Salone naufragare, ma anche, all’interno del mondo che fa riferimento alla cultura e all’identità ebraica, ai pochi che hanno preferito cedere al pessimismo e hanno scelto la strada dell’isolamento.
Sorride il presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni e del nascente Museo dell’ebraismo italiano di Ferrara, che assieme a moltissimi ebrei della città piemontese e ad altri provenienti da tutta Italia e dal mondo ha rinnovato il clima di collaborazione fra numerosissime realtà culturali. “Questa edizione del Salone – commenta – dimostra che il sistema Torino ha tenuto, che la città è e resta protagonista della vita economica e della cultura. Non è solo una prova riuscita nell’ambito della realtà locale, ma anche una lezione su scala nazionale su come lavorando fianco a fianco sia possibile superare le crisi e vincere le sfide”.
Sorridono al desk di Pagine Ebraiche, preso d’assalto dalle richieste di una copia del giornale dell’ebraismo italiano proprio lungo lo snodo fra i grandi padiglioni del Lingotto dove otto anni fa la testata è stata lanciata con una distribuzione straordinaria e il consenso degli italiani disposti a sottoscrivere l’Otto per mille a favore dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane toccava il suo record.
Un cenno discreto ma eloquente segna questo momento di vittoria, il sollievo di farcela nel nome dell’Italia e della cultura. Il direttore Nicola Lagioia, altra grande sorpresa vincente e fuori dagli schemi, che scambia un gesto di amicizia con Carmine Donzelli. Il raffinato e coraggioso editore indipendente ha appena mandato in stampa il suo Calendario civile che parla tutto di Memoria sana e viva, dei valori di cui né gli ebrei italiani né l’Italia civile possono fare a meno. Lo scrittore ha appena concluso il suo primo mandato, quello di rimettere in piedi l’anima del Salone non solo dal punto di vista organizzativo, ma anche dell’ispirazione e dell’ambizione culturale. Torino ha accolto loro assieme a tanti altri. La prova riuscita vale lo scambio di un sorriso e l’impegno a riprendere la strada. A tornare per fare ancora di meglio.

gv

(22 maggio 2017)