…passato

C’è qualcosa di strano nell’aria. Strane combinazioni, strane coincidenze. E mi capitano tutte in questo periodo. Erano forse i primi anni Settanta e ascoltavo distrattamente alla radio una commedia, mentre cercavo inutilmente di concentrarmi su un libro. Erano anni di studio piuttosto tormentato. Il dramma era senza dubbio ambientato in Israele, e trattava di un operaio che a Tel Aviv perforava la strada con un martello pneumatico e nessuno capiva perché, e i passanti commentavano cercando di indovinare che cosa quell’uomo stesse facendo. Per anni mi rimasero in mente questi dettagli e nulla più, e per anni mi sono chiesto di che testo si trattasse e di chi fosse. Ricordo solo che all’epoca stavo studiando il teatro dell’assurdo, e quella commedia me lo ricordava da vicino, con un po’ di ansia.
Ci sono delle cose, nella vita, che pensi che non riuscirai mai a raggiungere, mai a conoscere. Leggere tutto il Talmud, per esempio. Ma anche solo rileggere la Divina Commedia, o leggere d’un fiato tutta la Torah, magari con Rashi. Ci sono cose che ti lasciano il senso angosciante dell’incompletezza.
Ho continuato a chiedermi pigramente per anni che dramma fosse quello di quella sera alla radio. Fino a giovedì scorso, quando ho letto la nota di Sergio Della Pergola che ha risposto ai miei decennali interrogativi. Il radiodramma era Canale Blaumilch, di Efraim Kishon.
Non so se mai mi riuscirà di leggere la Torah con Rashi tutto d’un fiato. Sono però immensamente grato a Sergio per avermi permesso di riempire questo piccolo vuoto che, per quel che vale, mi dà per un attimo il senso della completezza, della chiusura di un percorso. È come riuscire a chiudere un cassetto che si era inceppato e non si chiudeva. O come concludere, dopo tanti anni, una raccolta di figurine. Ora posso chiudere l’album. In attesa di completarne un altro.
Le stranezze (telepatiche) della vita fanno sì che Sergio Della Pergola richiami Efraim Kishon per ricollegarlo alla enigmatica visita di Trump in Israele, mentre io mi volto all’indietro a chiudere i conti con il mio passato. Ma non me ne vanto affatto: il passato è quasi sempre più tranquillizzante.

Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia

(23 maggio 2017)