Tripoli e il canto di Bar Yochai

david-meghnagiGli ebrei di origine libica, o meglio quel che restava della comunità dopo il grande esodo degli anni cinquanta, sono arrivati in Italia dopo un pogrom, seguito allo scoppio della guerra dei Sei giorni, del giugno 1967. Il terzo in poco più di due decenni (il primo, che fu il più sanguinoso, si verificò nel novembre del 1945).
Molto prima che gli ebrei di Libia arrivassero a Roma, un canto molto amato, e cantato per secoli nelle Sinagoghe del Mediterraneo, li aveva preceduti. Il canto dedicato a Rabbì Shimon Bar Yochai, un rabbino del II secolo, che nell’immaginario del misticismo ebraico ha un ruolo centrale, fu composto da Rabbì Shim’on Labi.
Rabbino e cabbalista di origine spagnola, Rabbì Shim’on Labi, visse nel XVI secolo e fu a capo della Comunità degli ebrei di Tripoli. In viaggio dal Marocco per Gerusalemme, aveva incontrato a Tripoli una comunità in grave stato di disorganizzazione. Decise perciò di fermarsi, diventandone la principale figura religiosa di riferimento. Rabbì Shim’on Labi fu autore di Ketem Paz, un importante commento al Libro dello Zohar.
Cantato nella sinagoga in cui pregava a Tripoli, il canto di Bar Yochai, si diffuse in ogni sinagoga del Mediterraneo. A Tripoli era tra i canti che si intonavano prima della cerimonia del Kiddush del venerdì sera. Si cantava il sabato pomeriggio, dopo la se’udah. Un canto molto amato, che allietava i giorni di festa e che rendeva più tollerabile il sentimento della perdita, quando a morire era una persona anziana e saggia.
Come ho appreso da Rav Yakov Burbea, con cui ho studiato per anni, “Bar Yochai” si intonava a Bergen Belsen nei pomeriggi interminabili, prima di Mozaè Shabbath.
A Bergen Belsen i tramonti erano interminabili e nell’attesa delle tre stelle che annunciavano dal cielo la fine dello Shabbath, il canto di Bar Yochai, rendeva l’angoscia e il dolore più tollerabili.
Composto a Tripoli, il canto di Bar Yochai si è diffuso in tutte le comunità ebraiche del Mediterraneo, trovando un posto speciale nella toccante cerimonia della Mishmarà a Roma.

David Meghnagi, Università di Roma Tre

(24 maggio 2017)