…1967
Martedì, mentre Gerusalemme era in stato d’assedio per la visita di Trump, fortunatamente mi trovavo all’Istituto Universitario Ben Gurion a Sdé Bokér nel Neghev per la presentazione del libro “Israele 1967-1977: Continuità e svolta”. È davvero stata la guerra dei Sei giorni un punto di svolta nella storia di Israele, oppure è stata solamente un momento saliente in una storia dominata da processi a più lungo termine? La risposta è complessa, perché in ogni società, e in particolare in Israele, vi sono linee di sviluppo diverse collocate su diversi piani e giudicabili con strumenti diversi. La guerra dei Sei giorni, seguita dopo sei anni dalla guerra del Kippur, domina il periodo iniziale del terzo decennio di Israele ed è possibile oggi leggerne l’impatto anche alla luce dell’esperienza dei decenni successivi. Con i Sei giorni, Israele crebbe sul piano strategico e militare, assunse un ruolo di piccola potenza che prima non aveva, aumentò enormemente la sua visibilità e influenza internazionale, e fatto non secondario, conquistò per la prima volta una reale prominenza nell’immaginario degli ebrei della Diaspora. E questo avrebbe grandemente influenzato il destino degli ebrei sovietici, con risultati di cui Israele avrebbe beneficiato molti anni dopo. In un certo senso, Israele è realmente nata nel 1967, non nel 1948. Per molti altri versi, invece, il ruolo dei Sei giorni fu minore: per esempio nell’influenzare una grande ondata d’immigrazione verso Israele che non ci fu, o nello stabilizzare una classe dirigente laburista egemone che invece fu scacciata nel 1977 da Menahem Begin, o nel generare un nuovo concetto di stato d’Israele sviluppato omogeneamente su tutto il territorio nazionale e non diviso fra “centro” e “periferia”. Perché per esempio la superstrada a doppia corsia termina ancora oggi nel Neghev a sud di Beersheva all’altezza della nuova grande base militare in nome di Sharon, e non continua per gli ulteriori 200 chilometri fino a Eilat? Dopo i Sei giorni ci fu un periodo di prosperità senza precedenti, presto seguito tuttavia da molti anni di malessere economico. Con lo sviluppo economico venne anche una migliore giustizia distributiva, ma con la crisi si acuirono le distanze sociali. Furono anni di modernizzazione e di secolarizzazione, poi sostituiti da una crescente influenza dell’educazione haredi. Nel 1967 la diaspora ebraica reagì con generosità mai raggiunta né prima né dopo. Fu come un battito di cuore aggiuntivo nel lungo e complicato elettrocardiogramma del popolo ebraico. Ma forse l’impatto maggiormente visibile dei Sei giorni fu l’accesso ai territori palestinesi e alla loro popolazione. E a distanza di cinquant’anni, il problema non è ancora risolto.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
(25 maggio 2017)