…Carpentras
Carpentras, in Provenza. Una sinagoga storica, costruita nel 1417. Entri con la tua famiglia per la tefillah del venerdì sera, e un signore di mezza età ti si fa incontro e senza alcuna esitazione ti abbraccia sorridente. Dà il benvenuto a te, a tua moglie e ai tuoi figli con tre baci sulle guance. Ti si presenta: è Meyer Benzecrit, presidente di una piccola comunità di un centinaio di anime sparse nei dintorni di Carpentras. Ti guardi intorno e tutti si salutano, si sorridono, si parlano e scherzano. E tutti salutano te e ti parlano. Certo non sono abituati alle centinaia di turisti che nei sabati estivi affollano la sinagoga di Venezia, ma l’accoglienza sorprende ugualmente per il suo calore.
Benzecrit ti si riavvicina e ti informa, con tono complice, che nell’occasione del 650esimo anniversario della costruzione della sinagoga, arriverà a momenti anche il Grand Rabbin de France, Haim Korsia. E infatti, rav Korsia arriva accompagnato da signora e da un hazan tenorile di quelli che si usano nelle sinagoghe un po’ formalizzate. E anche rav Korsia comincia a salutare tutti, te compreso, con un bel sorriso e con una parola simpatica per ciascuno, come se ci conoscesse tutti da sempre e ci si incontrasse ogni settimana qui, nella sinagoga di Carpentras. Tu ricambi millantando credito, e gli dici che sei il tal dei tali e che sei stato il tal altro, e gli dici di essere venuto qui appositamente oggi, in rappresentanza dell’ebraismo italiano, e veneziano in particolare, a porgergli i doverosi omaggi. Pensi naturalmente, fra te e te, che lo scherzo lo dovrai in ogni caso pagare a Kippur per farti perdonare dal Signore e dagli amici di rilievo che tu stai defraudando di onori loro spettanti ma lui è intelligente e disponibile e capisce lo scherzo. Così, sorride e ti parla dell’ultima volta che è stato a Venezia e l’incaricato della sicurezza non lo voleva far entrare al tempio perché non si era presentato per bene. E lui, allora, iniziò a recitare a memoria la parashah del bar-mitzwah dell’uomo alla porta della sinagoga per dimostrargli di non essere un attentatore. Poi chiede a mio figlio Simon quale sia la sua parashah, e comincia a recitare Kedoshim, con un accento non proprio sefardita che la rende irriconoscibile.
La tefillah trascorre emozionante sin dal Lechà Dodì, anche con contributo tenorile un po’ sopra le righe. Ma i presenti sono davvero tutti presenti e li senti, e li vedi, emozionati come te, anche se forse ciascuno a modo suo e per motivi diversi. Pensi alla storia di quegli ebrei eccezionalmente fortunati per essere potuti rimanere in territorio francese sotto la protezione del Papa di Avignone, mentre nel resto della Francia gli ebrei venivano cacciati. Li chiamavano ‘gli ebrei del Papa’, appunto, e formavano le quattro comunità, le Arba Kehilot, sante di Avignone, di Carpentras, di Cavaillon e dell’Isle-sur-la-Sorgue. Nomi che ti ricordano altrettanti amici, come Bédarrides, ad esempio.
Pensi allora ai tanti vuoti della storia creati dagli ebrei espulsi e costretti a emigrare chissà dove. Pensi ai tanti vuoti dello spazio lasciati dagli ebrei nelle città che hanno dovuto abbandonare lasciandosi dietro case, beni, affetti, e ogni senso di stabilità e permanenza. La Provenza è cosparsa di vie che si chiamano Rue Juiverie, Rue des Juifs, Rue Juive. Ma degli ebrei rimane solo la memoria iscritta su quelle targhette. L’ebreo è un’indicazione stradale, l’ebreo è un’iscrizione, da ricordare senza doverla vedere.
Carpentras. Ogni tanto, nel calore estivo, quando tutto nella tua comunità locale e nazionale ti sembra tensione e conflitto, quando tutto ti spingerebbe al ritiro ascetico, ogni tanto pensi a Carpentras come a un rifugio di sogno. E ti sovviene il sorriso invitante di Meyer Benzecrit.
Dario Calimani, Università Ca’ Foscari V
(30 maggio 2017)