L’intervista a Tavecchio
“Giudicatemi solo dai fatti”
“È un grande piacere potermi confrontare con il vostro giornale, chiarire alcuni punti in sospeso. Ci tengo molto a questo incontro”.
Il presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio ci accoglie così, nel suo ufficio di via Allegri a Roma. Una lunga conversazione per parlare di razzismo nel mondo del pallone, di misure per contrastare questo odioso fenomeno, di nuovi possibili sinergie a livello europeo. Ma l’intervista è anche l’occasione per affrontare tensioni recenti, che molto hanno fatto parlare l’opinione pubblica. Il presidente Tavecchio illustra a Pagine Ebraiche la sua versione dei fatti.
Presidente Tavecchio, anche questo campionato appena conclusosi non è stato immune da episodi di intolleranza e razzismo. Quello più recente, il caso Muntari, è anche quello di cui più si è parlato. Come si sconfigge questa piaga? Quali gli strumenti più adeguati per reprimere l’odio?
È una questione soprattutto culturale, di iniziative che vanno intraprese assieme e per i giovani. Partendo naturalmente dalle scuole, allestendo progetti e percorsi educativi che promuovano un tifo bello, gioioso e responsabile. È un terreno sul quale molto si sta muovendo, su impulso della Federcalcio. In tempi non sospetti, quando assai meno si parlava di questi temi, fu il sottoscritto a spingere per la nascita di una commissione nazionale per l’integrazione che si prendesse carico di questa e altre sfide. Un lavoro che prosegue e dà frutti, con a capo una figura emblematica come Fiona May.
Ritiene che le diverse manifestazioni cui abbiamo assistito quest’anno siano lo specchio di un fenomeno sempre più dilagante?
Sono segnali preoccupanti, sarebbe un grave errore non prenderne coscienza. Però bisogna agire tenendoci al riparo da ogni strumentalizzazione e spettacolarizzazione. È impossibile stilare una statistica definitiva al riguardo, anche se ovviamente il fenomeno è oggetto di costanti analisi. Però la mia impressione è che si tratti di una realtà comunque marginale, di sparute minoranze di tifosi o pseudo-tali che rischiano, se il fenomeno non viene affrontato in modo serio, di gettare discredito sull’intero movimento. E questo ovviamente non posso permetterlo. Lotta dura ai professionisti dell’odio, senz’altro, ma anche un no fermo alle speculazioni.
Sul caso Muntari, nello specifico, quale è la sua posizione?
Penso che le mie parole siano state piuttosto chiare. Si tratta di un fatto gravissimo ed esecrabile, rivolto contro un calciatore “colpevole” di avere la pelle nera. Ho condannato subito questa iniziativa, davvero squallida. Ma al tempo stesso desidero porre in evidenza un altro fatto. E cioè che Muntari, dal suo canto, ha comunque sbagliato ad abbandonare il campo. Una decisione dettata chiaramente dalla forte emotività della situazione, ma non basta a giustificarlo. Un professionista ha degli obblighi e delle responsabilità.
Tanto che, almeno in un primo momento, è stato squalificato…
Decisione legittima del giudice. Come legittima e aggiungerei anche fortemente auspicata, alcune ore dopo, è stata la cancellazione di questo provvedimento. È stato preso in esame con attenzione il caso, se ne è valutata la straordinarietà, si è deciso di procedere in una direzione opposta rispetto a quella inizialmente indicata. Ma tutto, ci tengo a precisarlo, si è svolto nelle regole. Seguendo la giustizia ordinaria, le leggi di cui già disponiamo e cui quotidianamente si riferiscono gli addetti ai lavori nell’esercizio delle loro funzioni. Avendo il giudice ritenuto prevalente l’offesa, il successivo errore del calciatore è stato derubricato.
Era una minoranza, ma sicuramente non silenziosa, quella che l’ha insultato…
Certamente, anche per questo la condanna è stata così netta. Però ci tengo ad aggiungere un’ulteriore riflessione. Davanti a episodi di questo tipo bisogna valutare caso per caso, capire il contesto e applicare anche un po’ di buon senso. Parliamo infatti molto spesso di percezioni, di realtà deviate quasi impossibili da quantificare con esattezza.
Quanti erano ad esempio i facinorosi che si sono accaniti contro Muntari? Più o meno dell’un per cento della tifoseria? E quale numero usare come discrimine per un eventuale intervento con il club, l’un per cento appunto o qualche altra misura? Sono interrogativi che non possiamo non porci, anche tenendo conto del pericolo esistente nella esatta determinazione quantitativa per l’applicazione di sanzioni: il rischio, evidente, è che tifosi beceri possano facilmente ricattare delle società. Eppure, sempre più spesso, questi temi sono trattati in modo inopportuno. Senza profondità.
In che senso?
Mi pare evidente che in questa società della comunicazione frenetica ed esasperata si perdano di vista alcuni punti fermi e tutto diventi inevitabilmente show, cabaret, indignazione a comando. Per quanto riguarda il sistema calcio, a perderci siamo davvero tutti: dirigenti, società, la stragrande maggioranza di tifoseria sana che va allo stadio per divertirsi e seguire i propri beniamini. Non certo per insultare un atleta avversario, ricoprirlo di fischi e di altri ignobili improperi. La mia speranza è che, anche in ragione del crescente multiculturalismo, un fenomeno che riguarda la società nel suo insieme, certe manifestazioni non abbiano più a ripetersi. O quantomeno con una frequenza sempre pù insignfiicante.
È una speranza che si basa su elementi concreti?
Sì, le risposte che ci arrivano dal mondo della scuola sono ottime. Li vedo, i nostri ragazzi. Sento quello che dicono, il processo che porta alla formulazione di una domanda, all’analisi di una situazione. C’è una consapevolezza sempre più diffusa di questa minaccia. Il razzismo è una brutta bestia: sia esso rivolto contro chi ha un colore della pelle non gradito, oppure contro chi appartiene a un diverso gruppo etnico o professa una fede differente da quella propria. Tengo molto a questa lotta, tanto da aver stanziato diversi milioni di euro per favorire questi incontri nelle aule e nella rete di istituzioni territoriali che con noi collaborano. Parliamo di migliaia di micro-realtà. Al centro la figura degli educatori, gli ambasciatori della Federcalcio e dei valori che vogliamo difendere con ogni mezzo.
È una sfida solo italiana o investe anche altre federazioni nazionali?
È evidentemente un problema globale, tanto che gran parte degli slogan Fifa e Uefa mettono in risalto proprio la piaga del razzismo. Anche per questo si investe molto in Africa, rafforzando collaborazioni in loco. Ci sono stato varie volte, in Africa. Sono luoghi e battaglie che ho nel cuore. Le cose più belle, nei miei anni di impegno nel mondo del calcio, le ho viste proprio in questo ambiente. Una palla, due porte, ventidue calciatori: nulla può come lo sport, e direi questo sport in particolare, nella risoluzione di controversie e tensioni.
A proposito di tensioni, non si può negare che in passato ce ne siano state (e molto forti) con il mondo ebraico. Il suo “ebreaccio”, riferito a un noto immobiliarista romano, ha fatto il giro del mondo e provocato diverse reazioni sdegnate…
Quell’epiteto, infelice senz’altro ma detto in tono goliardico, come tante altre sciocchezze si possono dire nel corso di una conversazione confidenziale, registrata a mia insaputa, ha fatto di me un antisemita. Chi mi conosce sa bene quale sia il mio pensiero, quanto io sia distante da queste accuse, la stima e l’amicizia che vi è tra me e questa persona. Ho la sensazione di essere caduto vittima di un’imboscata.
Non è stato però l’unico scivolone di questo tipo, durante il suo mandato…
Ripeto: le battute e la goliardia sono una cosa. I fatti, quelli che veramente contano per valutare una persona, sono un’altra. Ci tengo a essere giudicato solo su questi ultimi, il resto lo lascio ai miei detrattori. In particolare rivendico una forte amicizia con alcuni esponenti ebraici, il pieno sostegno alle attività della federazione Maccabi e una storica vicinanza a Israele, che ho sempre difeso in tutte le sedi internazionali. Anche nella circostanza più recente, il congresso Fifa svoltosi in Bahrein a maggio. C’è stato chi ha cercato di far passare una risoluzione ignobile, che puntava ad emarginare la Federazione israeliana, a farne un corpo estraneo rispetto al sistema. Ci siamo opposti con fermezza, trovando una sponda in numerose federazioni europee. Questo impegno credo vada riconosciuto.
Adam Smulevich, Pagine Ebraiche giugno 2017
(30 maggio 2017)