STORIA Risorgimento, due ragazzi raccontano
Clotilde Pontecorvo, Asher Salah / DIARI RISORGIMENTALI: DUE RAGAZZI EBREI SI RACCONTANO / Belforte Editore
Ci sono l’indagine storica, coi sopralluoghi in varie città e la raccolta di informazioni negli archivi e nelle biblioteche di tre continenti, l’analisi psicopedagogica e quella linguistica. Ma non mancano nemmeno il caso e la serendipità, nella particolare vicenda che ha portato Clotilde Pontecorvo e Asher Salah a scoprire i diari dei giovanissimi Amalia Cantoni e Giuseppe Luzzatto, poi confluiti nel volume Diari risorgimentali: due ragazzi ebrei si raccontano, fresco di stampa per Salomone Belforte & C. Queste pagine, presentate per la prima volta in pubblico a Ferrara per iniziativa del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS, costituiscono una testimonianza eccezionale: a esclusione de “Il giornale di Emanuele”, redatto da Emanuele Levi nel 1821, dei diari delle sorelle veneziane Elena e Letizia Pesaro Maurogonato e di rarissimi altri esempi, la scrittura bambina nell’Ottocento, e quella ebraica specialmente, è stata, infatti, spesso condannata all’oblio. “Un vero peccato – si rammarica Asher Salah, storico dell’ebraismo italiano, specializzato nell’epoca dei Lumi e del Risorgimento, e professore associato all’Accademia di Belle Arti Bezalel e all’Università Ebraica di Gerusalemme – considerato che questi documenti sono una lente di ingrandimento sulla pratica religiosa, le letture, le frequentazioni e la dimensione privata di un’età, la pre-adolescenza, di cui sappiamo pochissimo”. E sono proprio questi gli argomenti che Amalia e Giuseppe affidano ai propri diari, negli anni in cui si realizza l’Unità d’Italia. La Cantoni (1846-1931), veneziana, sorella dello scrittore Alberto – apprezzato da Pirandello per il suo “umorismo riflessivo” – e zia della scrittrice Laura Orvieto, descrive un soggiorno a Pomponesco, nel contado mantovano, datato tra il 1863 e il 1864. Mentre il padovano Luzzatto (1849-1916), figlio dell’ebraista Samuel David, fa il resoconto di due viaggi a Gorizia, Trieste e Venezia, avvenuti tra il 1861 e il 1862. Due testi nati a brevissima distanza – temporale e geografica – l’uno dall’altro, eppure molto diversi. Non solo per i luoghi in cui sono oggi conservati e dove Salah li ha trovati in modo quasi fortuito: “Stavo conducendo una ricerca sui manoscritti degli ebrei in Israele fra ’700 e ’800, quando al Ben Zvi Institute ho incrociato casualmente il diario di Luzzatto, fino a quel momento sfuggito all’attenzione degli italianisti, perché quasi completamente in lingua ebraica. Stesso copione a Firenze – ammette Asher – cercavo nel Fondo Orvieto il diario della mamma di Amalia, che è scomparso, e mi sono imbattuto in quello della figlia”. Poi, anzi soprattutto, il solco tra i due ragazzi è scavato da incolmabili differenze di genere, di ambiente sociale e familiare, di sollecitazioni culturali, che si riverberano sul tenore dei loro diari. “Che iattura, per una donna, crescere nell’Ottocento!” – osserva con amara ironia Clotilde Pontecorvo, tra i maggiori esperti italiani sugli esordi della lingua scritta, l’interazione sociale a scuola, la formazione degli insegnanti e la didattica delle scienze sociali, nonché docente emerita di Psicologia dell’Educazione alla Sapienza di Roma. “Giuseppe gode di maggiore libertà – spiega Pontecorvo – è irriverente un po’ con tutti, esce da solo e con gli amici, interagisce anche con le bambine e dedica parecchio tempo ai giochi di società e alle letture (da Ariosto a Tasso, da Hugo agli “Esempi di bella prosa e di bella poesia”, allora in voga). Amalia, invece, che è orfana da quando aveva 7 anni, cucina, rammenda, suona il piano, legge libri come la “Vita di Gesù” di Renan, si occupa delle sorelline e non nomina mai altri uomini, fuorché il padre e il fratello”. “Differenze illuminanti – conclude Pontecorvo – che ci dicono moltissimo su chi scrive. Ecco perché, visto che conosciamo così poco i ragazzi di oggi, sarebbe importante che i loro genitori, nonni o insegnanti li esortassero a tenere un diario, a parlare di loro stessi”.
Daniela Modonesi, Pagine Ebraiche, maggio 2017