Il Nobel Alvin Roth a Pagine Ebraiche“L’economia può riparare il mondo”
“Sicuramente mi ispiro al concetto di Tikkun Olam, di riparare il mondo. E penso che anche l’economia debba avere questo ruolo: capire le cose ma anche farle funzionare meglio”. Difficile dare dell’utopista ad Alvin Roth, premio Nobel per l’Economia nel 2012 assieme a Lloyd Shapley “per la teoria delle allocazioni stabili e la pratica della progettazione dei mercati”. L’algoritmo che gli ha permesso di vincere uno dei più prestigiosi riconoscimenti nel suo campo è la dimostrazione del suo pragmatismo: “immaginiamo un medico, un avvocato, o un professore universitario a inizio carriera. – scriveva sul Sole 24 Ore l’economista Francesco Guala per spiegare il contributo di Roth e Shapley – Tutti questi professionisti si trovano ad affrontare un problema di matching, trovare il posto “giusto” per la persona “giusta”, devono cioè scegliere ed essere scelti. Il mercato in teoria dovrebbe accoppiare ogni candidato al datore di lavoro più appropriato, prendendo in considerazione le preferenze di entrambe le parti riguardo a stipendio, abilità, aspirazioni, eccetera”. Questo però non avviene in forma automatica e qui entra in gioco il meccanismo ideato da Roth, che ha poi adeguato il suo lavoro a un settore ancora più delicato: il trapianto e lo scambio di reni. Come racconta a Pagine Ebraiche lo stesso premio Nobel, a questo ultimo lavoro – che permette di salvare vite umane costruendo catene di donatori e pazienti – Roth ci è arrivato dopo un percorso lungo, dopo tante ricerche e senza un’idea preordinata. Ciò che sembra averlo accompagnato sempre è quel concetto da lui stesso citato di Tikkun Olam, di volontà di riparare il mondo. “Sono cresciuto in una famiglia ebraica conservative (corrente dell’ebraismo), ho fatto le scuole ebraiche e mio fratello è un ebreo hassidico. Certo tutto questo ha un’influenza su chi sono”.
Nel suo libro – Who Gets What – and Why? (Chi riceve cosa e perché?), lei spiega come ha applicato i suoi studi sul matching market per portare dei miglioramenti concreti in diversi campi. Partendo dall’inizio, può spiegarci cosa si intende per matching market?
Ci sono molti tipi di mercato ma noi in genere pensiamo al mercato delle materie prime dove semplicemente un bene viene offerto a un determinato prezzo e non importa chi lo stia offrendo. I matching market funzionano diversamente: in questo caso paghi le persone con cui hai a che fare e quindi non fai riferimento solamente a un prezzo.
Un esempio è il mercato del lavoro. Caratteristica dei matching market è che non puoi solo scegliere ciò che vuoi ma devi anche essere scelto: non posso semplicemente decidere di lavorare per Stanford, devo anche essere scelto dall’università. Deve esserci quindi un match, un abbinamento. Un po’ come nei matrimoni.
Questo concetto, come accennava, si applica tra le altre cose al mercato del lavoro e in particolare lei lo ha utilizzato per dare una soluzione concreta alle assunzioni in campo medico.
Prima di mettermi a lavorare sulla questione di come combinare studenti di medicina e ospedali, ho cercato di capire come avessero risolto il problema dell’occupazione dei medici negli anni ‘50 (la soluzione era stata combinare, utilizzando un algoritmo, due scale di preferenze, una indicata dai medici in cerca di lavoro e l’altra dagli ospedali che ne offrivano uno: entrambi erano chiamati a stilare una classifica dei posti dove volevano lavorare e delle persone che volevano assumere. Incrociando i dati, veniva fatto l’abbinamento migliore. Ndr). Allora però si parlava di un mercato del lavoro praticamente tutto al maschile. Negli anni ‘70 le cose sono cominciate a cambiare con un maggiore coinvolgimento femminile: il 10 per cento dei laureati in medicina erano donne, oggi sono il 50. E capita spesso che all’interno di una coppia entrambi siano medici, il che vuol dire che dobbiamo trovare impiego a entrambi nello stesso settore. Parte del mio lavoro è quindi diventato riorganizzare il mercato del lavoro per i dottori, pensando alla variabile delle coppie e utilizzando un algoritmo per una migliore allocazione delle risorse.
Dalla questione dei medici e degli ospedali, è poi passato al problema dei trapianti di reni. Come mai ha scelto questo argomento?
Innanzitutto parliamo di un lavoro che ha preso molto tempo. Quando ho cominciato a studiare negli anni Settanta gli articoli di David Gale e di Lloyd Shapley (in merito all’algoritmo dell’accettazione differita) non avevo in nessun modo pensato allo scambio di reni.
Il paper su cui avevo lavorato partiva da questo presupposto: supponi di dover lavorare nel mercato immobiliare ma non puoi usare i soldi per la compravendita, cosa faresti? Ho scritto alcuni articoli affrontando il problema. Un esercizio interessante che mi è poi servito quando ho preso in mano il tema dello scambio dei reni: la legge infatti praticamente in tutto il mondo vieta la vendita di organi per trapianto per cui sono necessarie soluzioni alternative. Io ho toccato per la prima volta la questione quando nel 1982 sono arrivato all’Università di Pittsburgh, sede di un gigantesco centro per il trapianto di reni. Ho iniziato a usare lo scambio di questi organi come esempio per i miei studenti per parlare di mercati che non funzionano attraverso i soldi. Nel 1998 mi sono spostato ad Harvard e proprio in quegli anni in New England (regione del Nord Est in cui si trova la prestigiosa università, ndr) è stato fatto il primo scambio di reni. In quel momento mi sono reso conto che come economisti potevamo aiutare a organizzare questo mercato su una più larga scala. Avevo fatto pratica lavorando su un assunto teorico come quello del mercato immobiliare e ora potevamo metterlo in pratica.
Di cosa parliamo quando parliamo di scambio di reni?
Al mondo ci sono molte più persone che necessitano di trapianto di reni rispetto ai reni disponibili. Al momento, più di 100.000 persone negli Stati Uniti sono in lista di attesa per un rene da un donatore defunto, e migliaia di quelle persone moriranno ne l’attesa. Ma una persona sana ha due reni e può rimanere in buona salute anche rimanendo con uno solo. Quindi molti reni vengono donati da donatori viventi, spesso a persone che amano. Il problema però è la compatibilità: a volte sei abbastanza sano per dare a qualcuno un rene, ma il tuo rene non va bene per la persona a cui vorresti darlo. Se due coppie di pazienti e donatori sono in questa situazione, è possibile incrociare le donazioni e così – se c’è compatibilità – abbiamo uno scambio di reni. La catena però può andare ben oltre la previsione di due sole coppie e noi abbiamo lavorato per mettere a punto un sistema che risponda a questa esigenza.
Qual è il ruolo dell’altruismo in questo sistema? Per esempio due anni fa sui giornali ebraici si parlava del gesto del rabbino Shmuly Yanklowitz, che ha donato uno dei suoi reni ad un giovane israeliano, ispirandosi – come ha dichiarato lui stesso – a due principi ebraici: “lo taamod al dam re’echa” (non starai a guardare quando il tuo prossimo è in pericolo di vita) e del pikuach nefesh (ovvero, i divieti cadono di fronte all’urgenza di salvare una vita umana).
L’altruismo e l’etica contano. Lo scorso anno negli Stati Uniti 6000 persone hanno donato un rene, ciascuno di questi atti è un atto di altruismo. Queste persone hanno deciso di salvare la vita a una persona che amano. E ce ne sono poi altre 700 che sono donatori indiretti: donano il proprio rene ma non gli importa a chi. Ma il problema, come dicevamo, è che la lista di chi ha bisogno di un rene è molto più lunga.
L’altruismo quindi per il momento non basta. Ma quali alternative ci sono?
La donazione è una questione complessa. In termini ebraici, la halakha – la legge ebraica – parla dei trapianti e ci sono poskim – saggi – che toccano anche la questione della possibilità di ricevere dei soldi in cambio di aver salvato una vita. In particolare il rabbino Shlomo Salman Auerbach pone in un suo scritto la questioni in questi termini: un giorno passi nei pressi di un fiume e vedi un uomo che sta affogando.
Di fianco alla riva c’è una corda e tu subito gliela lanci, riuscendo a salvargli la vita. Lui, per ringraziarti si offre di darti dei soldi ma in questo caso non puoi accettare. Non aver compiuto quell’azione sarebbe stato come uccidere l’uomo, non ci si può far pagare per un’azione che sono obbligato a fare. Stessa situazione ma senza corda: ti lanci in acqua, nuotando contro corrente e mettendo a rischio la tua vita, riesci a salvare l’uomo che stava annegando.
Lui ti ringrazia e si offre di darti un premio in denaro come ringraziamento.
Tu sei in una situazione economica difficile, la tua famiglia fa fatica ad andare avanti e quel regalo sarebbe d’aiuto. In questo caso, la somma di denaro ricevuta non cancella la tua mitzvah (buona azione). Tornando alla nostra questione dunque, sembra esserci spazio, a determinate condizioni, per ricevere denaro in cambio della donazione di un rene. Ma per il momento questa pratica rimane, ad eccezione dell’Iran, vietata in tutto il mondo.
Si tratta di un caso di quello che lei ha definito “mercato ripugnante”?
Quando parlo di “mercato ripugnante” o di “transazione ripugnante” faccio riferimento a una transazione che alcune persone vogliono fare, altre non vogliono che sia fatta ed è difficile vedere le conseguenze materiali su chi non vuole. Sono questioni legate alla morale di un determinato periodo storico o di una determinata area geografica. Per la donazione di reni, la preoccupazione è che le persone più vulnerabili possano essere sfruttate ma è anche vero che negli Stati Uniti e in Italia migliaia di persone muoiono per mancanza di reni, quindi la risposta al problema non è così ovvia. E le faccio un altro esempio: io e lei stiamo parlando ora. Io sono in California, lei in Italia. Se lei venisse qui, potrebbe avere un figlio, firmando un contratto con una donna, attraverso la maternità surrogata. Si tratta di una transazione legale qui, oggi, in California.
Non è così per la legge italiana, come dimostra il caso recente di una coppia che ha avuto un figlio – a cui non era legata geneticamente – da una madre surrogata in Russia.
Una volta che la coppia con il bambino è tornata in Italia, il tribunale ha deciso di metterlo in affido perché il test del Dna aveva dimostrato che non c’era legame biologico tra padre e figlio. E una sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo ha confermato il provvedimento (“Una coppia non può riconoscere un figlio come suo se il bimbo è stato generato senza alcun legame biologico con i due aspiranti genitori e grazie ad una madre surrogata”, si legge nella sentenza della Corte di Strasburgo). Quello che oggi è legale in California e quindi moralmente accettato, non lo è in Italia.
Posto quindi che la questione dell’acquisto di organi è considerato immorale ed è illegale in tutto il mondo, sono state trovate delle alternative per diciamo incentivare le donazioni?
In Israele, dove c’è stato un dibattito su quando è permesso donare gli organi e in particolare su quando una persona è considerata morta ed è quindi permesso l’espianto, hanno lanciato un’iniziativa da qualche anno che sembra funzionare: se sei registrato nella lista dei donatori, hai una certa priorità su un possibile trapianto di organi.
Stessa cosa se un tuo caro è morto e ha donato i suoi organi: tutta la tua famiglia ottiene questa forma di priorità. Sembra che questo progetto abbia avuto un impatto positivo.
Daniel Reichel, Dossier Mercati e Valori, Pagine Ebraiche Giugno 2017
(2 giugno 2017)
Nell’immagine, Alvin Roth nel giorno di apertura del Festival Economia di Trento – foto Eccher