L’esodo degli ebrei dalla Libia, una lezione per il presente
“La memoria di quanto accaduto 50 anni fa agli ebrei di Libia è un’occasione per una riflessione sia per gli ebrei italiani sia per il Paese”, sottolinea lo psicanalista David Meghnagi, assessore alla Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. E il documentario “Libia – L’ultimo esodo” vuole proprio andare nella direzione di aprire un fronte di discussione su un momento storico poco conosciuto al grande pubblico. La pellicola, diretta dal regista Ruggero Gabbai e realizzata assieme a Meghnagi – prodotta da Forma international -, sarà presentata domani in anteprima a Milano al Cinema Orfeo (ore 20.00) grazie al sostegno dell’UCEI e racconta la storia dell’ebraismo libico: un’esperienza secolare conclusasi nella violenza. Sarà infatti il pogrom del 5 giugno 1967 – preceduto da quello del 1945 – a segnare la fine della vita ebraica del Paese: migliaia di ebrei abbandoneranno la Libia, rifugiandosi in Israele e in Italia, dove riusciranno a ricostruirsi un nuovo futuro. “Sono tre gli elementi di questa storia che possono essere una lezione per il presente – spiega Meghnagi, di origine libica e testimone diretto di quei tragici eventi – Il primo è legato all’ebraismo italiano: l’arrivo degli ebrei libici ha profondamente cambiato l’identità ebraica dell’Italia; un dato su cui non si è ancora riflettuto a sufficienza. Il documentario e l’anniversario sono un’opportunità per farlo, guardando anche alle altre migrazioni ebraiche da Siria, Turchia, Libano”. Il secondo elemento tiene conto invece di un’analisi storica più ampia. “Lo studio dell’esperienza libica è un’occasione per politica e culturale rivisitare i luoghi comuni del terzomondismo applicati alla realtà araba e presenti anche nei nostri libri di testo. – spiega Meghnagi, direttore del Master Internazionale Didattica della Shoah dell’Università Roma Tre – È una narrazione che rimuove le sofferenze degli ebrei nel mondo arabo e che analizza in modo distorto i fenomeni del panarabismo e della decolonizzazione. Questi temi non vengono affrontati mentre invece si indica il conflitto tra israeliani e palestinesi come la madre di tutti i problemi del Medio Oriente”. È una narrazione figlia della Guerra Fredda, sottolinea Meghnagi, di una contrapposizione colonialismo-anticolonialismo falsata e in cui non vi è “una comprensione dei reali processi di cambiamento interni ai paesi arabi”. Non solo, continua il direttore del Master, il dito puntato contro Israele come responsabile della mancanza di pace in Medio Oriente “alimenta una nuova forma di antisemitismo, in cui è lo Stato degli ebrei il nuovo bersaglio, senza capire che gli ebrei hanno avuto invece un altro ruolo in questa storia”. Ne sono stati, come nel caso della Libia, tra le prime vittime. “Dobbiamo rimettere in gioco questi schemi”. “Il terzo elemento infine – conclude Meghnagi – è la resilienza: in un mondo in cui gli spostamenti di popolazioni sono causa di potenziali derive nazionaliste e di preoccupazione sul fronte della sicurezza, il modello ebraico è un importante esempio da studiare. È necessario capire come migliaia di ebrei, nonostante il trauma dei pogrom e dell’abbandono delle proprie case (come accaduto per l’esodo dai paesi arabi) siano riusciti a ricostruirsi un’identità positiva. E nel documentario abbiamo lavorato in modo che questo aspetto emergesse con forza”.
(5 giugno 2017)