Venezia, la “casa della vita”
finisce sul New York Times
Ogni giorno, con straordinaria passione e abnegazione. Ogni giorno quel cancello da superare, quei luoghi da tutelare dalle avversità e dal tempo che inesorabilmente scorre mettendo a rischio antiche tracce di storia e vita. Aldo Izzo è il custode delle memorie della Venezia ebraica, l’uomo che da oltre trenta anni a questa parte si prende cura, ogni giorno, dell’antico cimitero monumentale al Lido. Una testimonianza formidabile, una delle più struggenti, della radicata presenza in questa città (le tombe più antiche all’interno del comprensorio risalgono al Medioevo).
Izzo, 86 anni, capitano di nave in pensione, è il protagonista di un progetto che coinvolge l’intera Comunità lagunare e che è finito, proprio in questi giorni, sulle pagine del New York Times. Un progetto che è frutto dell’estro dell’artista israeliana Hadassa Goldvicht, che molte ore ha trascorso assieme a Izzo e ai protagonisti dell’ebraismo veneziano di oggi.
Interviste e colloqui che sono diventati un’installazione, The house of Life, inaugurata a Palazzo Querini Stampalia in concomitanza con la prima settimana della Biennale di Venezia. Ad essere esplorati in questa opera video, presentata dal Museo d’Israele, i temi legati alla memoria storica, al confine tra vita e morte, ma anche tra mito e arte. E inoltre, alla natura di una Venezia in rapido cambiamento.
Il progetto The House of Life inizia quando l’artista è invitata in residenza presso Beit Venezia, associazione culturale diretta da Shaul Bassi. Invito che le dà l’impulso per avviare uno studio approfondito sull’ebraismo veneziano di oggi. I suoi personaggi, le sue complessità. Il tutto in relazione con quella che è la città ai giorni nostri. L’incontro con Izzo, tra i più intensi, accende un’ulteriore lampadina.
Giorno dopo giorno, incontro dopo incontro, questo straordinario progetto si rafforza. E la casa della vita si mostra in questa nuova veste. È arte, è comunicazione.
Per una memoria che non abbia mai fine.
(5 giugno 2017)