Università e leggi razziste
Nel 2018, in occasione delle commemorazioni delle Leggi razziste del 1938, sarebbe opportuno avviare una riflessione pubblica sulle conseguenze devastanti che tali leggi hanno avuto per le università italiane.
Sarebbe doveroso ripercorrere le storie individuali di ciascuno degli studiosi cacciati ed esiliati; poi deportati e assassinati.
In seguito alle Leggi Razziste del 1938 ben 94 furono gli accademici espulsi dalle università in quanto “ebrei”.
Si tratta del 7 per cento dell’intero corpo accademico dell’epoca, figure di primo piano della cultura e della scienza, che hanno reso servigi unici alla vita del loro paese e sono stati ricambiati trasformandoli in paria da un giorno all’altro.
Furono cacciati i matematici che svilupparono i calcoli per la formulazione della teoria della relatività. Fu distrutta la scuola di biologia di Torino, che era all’avanguardia. Non a caso Rita Levi Montalcini, figlia di un insigne accademico espulso dall’Università di Torino, vinse poi il Premio Nobel. Un altro premio Nobel vinto all’estero fu quello di Salvatore Edoardo Luria.
Tra gli allievi di Fermi, che lasciò l’Italia per impegno democratico e per solidarietà con la moglie ebrea, figurano alcuni dei più grandi fisici del Novecento. Emilio Gino Segrè vinse il Nobel per la fisica all’estero.
Con le leggi del ’38 fu distrutta la nascente scuola di psicoanalisi che fu riscostruita nel dopoguerra. Ma non era più la stessa. Edoardo Weis, referente “ufficiale” di Freud in Italia, trovò rifugio in USA. Enzo Bonaventura, figura di primo piano della ricerca psicologica e psicoanalitica in Italia, trovò rifugio a Gerusalemme, dove perì tragicamente nell’agguato contro il convoglio dell’Hadassah nell’aprile del 1948.
Con le leggi del 1938 fu profondamente danneggiata la ricerca in ambito economico e statistico. Piero Sraffa, uno dei più grandi economisti del Novecento (amico di Gramsci), trovò posto a Cambridge. Franco Modigliani vinse il Nobel in USA. Sono solo alcuni dati che aiutano a capire.
Le leggi del ’38 hanno instillato la perversa convinzione che si possa far carriera nelle università non per meriti, ma per ragioni di “appartenenza politica”, prendendo il posto dei colleghi più seri e impegnati. Insieme ai docenti cacciati dall’Università, sono stati danneggiati gli allievi più onesti e capaci, che sono stati privati dei loro maestri, cacciati dal lavoro e privati di ogni tutela. In seguito braccati e assassinati. Una pagina nera di storia italiana, che non è stata adeguatamente elaborata. Un lutto per la cultura. Una tragedia per l’intera società italiana che ha lasciato profondi segni, che ad alcuni appaiono “invisibili”, ma che si toccano con mano. Dopo quel trauma l’università italiana non si è più ripresa.
David Meghnagi, Università Roma Tre
(7 giugno 2017)