JCiak – Sognare è vivere

“C’era una volta un villaggio abbandonato da tutti suoi abitanti …”. Si apre con il tono lieve delle favole, Sognare è vivere, il film diretto e interpretato dall’israelo-americana Natalie Portman che traspone per il grande schermo l’ormai classico Storia d’amore e d’ombra di Amos Oz. Da oggi nelle sale, il film restituisce un sapiente affresco della vita in Israele negli anni che precedono la fondazione dello Stato raccontato attraverso gli occhi del bambino Amos. In un’impeccabile ricostruzione d’epoca il lavoro, che intercala al girato preziosi footage storici, conduce lo spettatore nel ventre di una Gerusalemme buia, povera e spazzata dalla pioggia dove si gioca il rapporto tenerissimo e tragico tra Amos e sua madre Fania interpretata dalla stessa Natalie Portman.
Sognare è vivere, che segna il debutto alla regia di Natalie Portman, è un omaggio ad Amos Oz, alla lingua ebraica e alla stessa storia d’Israele. La Portman ha letto Una storia d’amore e tenebra (2002) nove anni fa e, racconta, ha subito voluto farne un film. “Il lavoro di Amos Oz è commovente e scritto benissimo. Inoltre tante delle sue storie erano per me molto familiari: ne avevo sentite tante del genere riguardo i miei nonni, il loro rapporto con i libri, la cultura, la lingua, l’Europa e Israele”.
Il film si focalizza sul periodo fra il 1945 e il 1947 e sul rapporto fra Amos e la madre Fania che presto si toglie la vita. “Si tratta della nascita di uno scrittore, dovuta al vuoto che sua madre ha lasciato, un vuoto che lui deve riempire con parole e storie”, racconta la regista. “C’era una tensione incredibile tra madre e figlio”, dice Natalie Portman. “Lei lo spinge a creare e al tempo stesso con la sua scomparsa gli apre uno spazio da colmare. Quello di Fania è un abbandono incredibile e devastante. E al tempo stesso è un’opportunità che lui riuscirà ad affrontare proprio grazie agli strumenti datigli dalla madre”.
Lo scenario è uno spaccato di quel mondo di immigrati coltissimi e spesso spaesati nella Palestina di quegli anni che Amos Oz ha magnificamente descritto nel suo libro. La sua è una delle tante famiglie ebree scappate dall’Europa al montare delle persecuzioni antisemite. Il padre Aryeh, originario di Vilnius, è uno studioso di letteratura ebraica. La madre Fania, nata a Rovno, è cresciuta, come scriverà il figlio, “in una cultura di eterea e nebulosa bellezza, le cui ali si erano schiantate contro la dura pietra di Gerusalemme, calda e polverosa”.
Infelice della vita matrimoniale, sopraffatta dalle sfide concrete della nuova vita, così diversa da quella che sognava, per rallegrare le sue giornate e divertire il figlio Amos, Fania inventa storie di viaggi e avventure. Amos adora da quella madre così incantevole e fragile e i suoi racconti lo segneranno per tutta la vita.
Quando l’indipendenza d’Israele non porta quel rinnovato senso della vita che Fania aveva sperato, la donna però scivola nella solitudine e nella depressione. Incapace di aiutarla, Amos è costretto a dirle addio prima del tempo e ad affrontare un nuovo inizio nel kibbutz di Hulda.
Interamente girato a Gerusalemme e recitato in ebraico, Sognare è vivere doveva essere distribuito con i sottotitoli anche se ragioni di distribuzione devono aver dissuaso la produzione. Natalie Portman ha infatti ricordato più volte che “Israele è riuscito nell’incredibile impresa di far rinascere la lingua ebraica dopo secoli in cui era stato una lingua esclusivamente religiosa, non parlata”. Anche per questo, ha detto, “il linguaggio è senz’altro uno dei personaggi del film e Arieh ne è il principale tramite, perché parla in continuazione dell’etimologia delle parole e del modo in cui sono connesse”.
Proprio per questo durante la lavorazione si era posta grande attenzione all’accento degli attori che, impersonando degli immigrati dall’Europa orientale, dovevano avere tutti un’inflessione ashkenazita.
La stessa Portman, che pure parla un ottimo ebraico (il padre è israeliano, lei ha vissuto in Israele fino a tre anni e vi è tornata per studiare), aveva dovuto affidarsi alle cure di una coach per non suonare troppo yankee. “Sembro ancora straniera, ma non americana, il che va bene per il personaggio”, aveva spiegato.
Questi effetti purtroppo si perdono in un doppiaggio che talvolta suona artificioso ma, pur in assenza della lingua originaria, l’ambientazione e il plot riescono a rendere con slancio le sfide di quegli anni eroici.
Se la prima parte del film stenta un po’ ad ingranare, la seconda prende il volo lungo quelle traiettorie sospese fra sogno, fantasia e delirio che la Portman maneggia a perfezione fin da Black Swan di Darren Aronofsky, il film che nel 2010 le ha valso l’Oscar come migliore attrice.
Sognare è vivere è un film ambizioso cheparla d’amore e di morte, di arte e vita e del perenne strazio che lacera il cuore di chi lascia la sua terra per un sogno e tutti i giorni è costretto a confrontarsi con le delusioni di un sogno diventato vita quotidiana. Un film da vedere per poi riprendere il classico di Amos Oz e centellinare ancora una volta la sua magnifica prosa che la sceneggiatura, curata dalla stessa Portman, sparge a piene mani di scena in scena.

Daniela Gross

(8 giugno 2017)