L’intervento di Ruth Dureghello:
“Ebrei di Libia, la loro storia
è anche la nostra storia”
Quello che abbiamo appena visto è il racconto di una tragedia. E di come un dramma possa trasformarsi in un’occasione di rinascita. Gli ebrei libici scampati alla furia delle rivolte arabe, arrivarono a Roma con una valigia e 20 sterline. Della Libia gli rimase solamente ciò che avevano nel cuore e indosso. Perché essere ebrei nel 1967 nei paesi arabi e guardare con speranza ad Israele fu una colpa imperdonabile. Si erano trasformati così in pochi giorni da cittadini a profughi, lasciando alle spalle tutto ciò che avevano costruito durante i secoli e che aveva contribuito alla crescita culturale ed economica della Libia.
Raccontiamo questa storia perché è parte della storia della Comunità Ebraica di Roma e perché è il racconto di un mondo ebraico scomparso: quello degli ebrei del nord Africa che era radicato lì fin dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme.
Un mondo scomparso in Libia, ma rinato grazie alla forza di volontà di chi ha perpetuato e trasmesso la propria cultura, la tradizione e i riti, qui a Roma, dove oggi celebriamo la ricorrenza dei cinquant’anni da quell’esodo.
Siamo qui, nel Tempio Maggiore perché questo è il luogo che rappresenta l’intero ebraismo romano e perché la storia degli ebrei di origine libica è la nostra storia. Donne e uomini che, senza perdere la propria identità hanno ricostruito la propria vita in una società, non solo lontana, ma profondamente diversa da quella in cui vivevano. Integrarsi in un paese diverso dal proprio è possibile; lo si può fare rispettando le leggi del paese che ti accoglie e con la consapevolezza che l’incontro tra culture è un’opportunità e non una minaccia. I nipoti di coloro che arrivarono dalla Libia come profughi oggi cantano l’inno di Mameli e si riconoscono nel tricolore e di questo siamo fieri.
Non è certo stato un percorso facile. C’è voluto l’impegno di molti e la determinazione di persone come Shalom Tesciuba e Sion Burbea che oggi sono qui insieme a noi, e molti altri tra cui Bondi Nahum Z.l., Shemuel Shemlaly Naman Z.l. e Raffaello Fellah Z.l. che non ci sono più alla cui memoria voglio dedicare un sincero ringraziamento.
La Comunità Ebraica di Roma si adoperò per permettere agli ebrei libici di tornare a vivere con dignità. Uscire dai campi profughi, ricostruire ciò che era stato distrutto ed iniziare una nuova vita a Roma. Fu questo che il rabbino Capo Elio Toaff Z.L. si impegnò a fare ed oggi siamo qui, in questa cerimonia, anche per dare il giusto tributo a questo grande maestro e grande italiano.
Le Istituzioni del nostro paese, insieme a tutte le comunità ebraiche d’Italia si impegnarono affinché questa rinascita fosse possibile. Presidente Gentiloni, la sua presenza oggi qui è significativa perché ci permette di ringraziare ancora una volta dopo cinquant’anni il Governo Italiano per aver fatto la scelta giusta.
In un’epoca in cui si parla tanto di migrazioni, di accoglienza e di integrazione dei profughi, i morti in mare riaprono in noi una ferita mai completamente rimarginata. Essere ebrei significa non restare indifferenti al dolore e alla sofferenza di chi è più debole.
Dopo l’arrivo degli ebrei libici fiorirono a Roma i templi di rito libico, le macellerie kasher e le due comunità, che all’inizio si guardavano con “sospetto”, divennero un tutt’uno, costituendo una nuova comunità, che oggi vediamo ben rappresentata in questo tempio.
Agli ebrei di origine libica voglio dire: “Zaretna Bracha” ci avete portato la benedizione! Grazie per l’arricchimento che avete dato alla nostra Kehilla, grazie perché dai numerosissimi matrimoni “misti” fra romani, tripolini e bengasini, è nata la generazione che oggi rappresenta unita e per intero la Comunità ebraica di Roma. Una generazione di donne e uomini che quotidianamente si impegnano per far crescere il nostro Paese, che piangono per i troppi attentati che colpiscono il nostro continente, che vivono e soffrono la crisi economica che l’Italia e l’Europa intera sta vivendo. Una generazione rispettosa delle regole comuni e delle leggi dello Stato, fondamento della convivenza civile fra culture diverse.
Mi lasci dire, infine, caro Presidente, che siamo grati alle Istituzioni che hanno dimostrato in questi anni di considerare la nostra Comunità, la nostra diversità e la nostra storia una ricchezza del Paese. Che tutelano e proteggono i nostri templi, i musei e le scuole ebraiche. Che si relazionano con Israele, a cui siamo legati indissolubilmente non solo per Storia, tradizione e cultura, con rispetto ed attenzione e sanno prendere posizioni decise e chiare per chi vuole negare questo nostro legame. Lo ha fatto il Governo da Lei guidato nell’ultima votazione Unesco quando ha modificato la precedente posizione presa dall’Italia votando contro la negazione della storia.
Noi sappiamo che le nostre Istituzioni non ci lasceranno soli come lo furono gli ebrei della Libia e dei paesi arabi, allora. Mantenendo sempre aperta la porta per un dialogo costruttivo sulle questioni che ci attanagliano, voglio ribadire da questo luogo l’impegno di noi ebrei a costruire insieme un Paese migliore. Consapevoli che il futuro della nostra Italia dipende dall’impegno di tutti ed a questo richiamo morale non intendiamo sottrarci.
Ruth Dureghello, Presidente della Comunità Ebraica di Roma
(8 giugno 2017)