Setirot – Diario
Cinquant’anni dalla Guerra dei sei giorni. Sono già iniziate – e aumenteranno, potete esserne certi – le bordate dei blocchi contrapposti di chi si sente amico di Israele e accusa chi la pensa differentemente di essere invece nemico di Israele, di chi esporrà i propri dubbi e le proprie ragioni e chi invece griderà solamente le proprie ragioni, tentando di zittire l’altro. Un vecchio film, ahimè, trito e ritrito, che sarebbe noiosissimo se non avesse a che fare con i nostri sentimenti e con le nostre lacerazioni.
Mi perdonerà dunque il mio amico Sergio Della Pergola se gli “rubo” mezza paginetta del diario che proprio in quel giugno del 1967 (24enne arrivato in Eretz Israel sei mesi prima) iniziò a scrivere. Glielo “rubo” perché credo che rappresenti meglio di ogni altra testimonianza o ragionamento il comune sentire di allora.
5 giugno. «… Per te non c’è problema: se vincono gli arabi tu sei arabo; se vincono gli israeliani, tu sei israeliano. Per me, invece, c’è una sola soluzione possibile… [parlando con il suo compagno di stanza all’università, Ibrahim Washahi]».
8 giugno. «… Abbiamo preso la vecchia città. Cos’ha a che fare tutto questo con teorie economiche di eguaglianza sociale e con l’efficienza organizzativa dello Stato d’Israele di fronte ai paesi arabi? Quello che volevamo era solo un Muro. Un muro di fronte al quale piangere, pregare. E ora l’abbiamo. Ora si comincia sul serio con lo Stato ebraico. Così gli uomini si muovono a fanno la storia. Il mio amico Ibrahim potrà andare alla Moschea di Omar e vedere i suoi fratelli. La guerra genera la pace…».
La dolcezza e la passione delle parole di Sergio giovane uomo sono impresse – credo – nei nostri cuori, di sicuro nel mio. Insieme a tanta, tantissima disillusione, molta amarezza, grande dolore.
Stefano Jesurum, giornalista
(8 giugno 2017)