Il convegno sulle giudeolingue
Una riflessione sulla complessità
Il convegno su “Le lingue degli ebrei: problemi e metodi”, tenutosi presso il Centro Bibliografico Tullia Zevi dell’UCEI nei giorni 7 e 8 giugno, intendeva approfondire il tema dell’identità linguistica degli ebrei, già proposto per la Giornata della Cultura Ebraica 2016-2017 e affrontato da un’altra prospettiva nel convegno sull’ebraico in traduzione (28-29 settembre 2016, sempre presso la sede UCEI).
Nelle intenzioni degli organizzatori – Raffaella Di Castro (responsabile delle attivitò culturali del Centro Bibliografico), chi scrive (Università di Napoli Federico II), Fabrizio Franceschini e Alessandra Veronese (Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici dell’Università di Pisa) – il convegno voleva essere un’occasione per fare il punto su una serie di problemi grandi e piccoli, teorici e pratici, con cui si confrontano tutti coloro che lavorano nel campo delle giudeolingue (Jewish languages). Senza sperare di arrivare a risolverli, l’auspicio era di metterli in campo e farne oggetto di riflessione comune, anche se non necessariamente unanime.
In questa prospettiva il convegno è stato senza dubbio un successo: non solo ha riunito un nutrito gruppo di studiosi italiani e stranieri, provenienti da otto università e centri di ricerca diversi, ma ha destato l’interesse di un buon numero di ascoltatori estranei al mondo accademico, che hanno seguito i lavori con attenzione e sono intervenuti nel dibattito.
Il percorso prevedeva di passare in rassegna, dopo un’introduzione generale, affidata a Cyril Aslanov, la situazione dell’ebraico (Ida Zatelli), nel neoaramaico giudaico (Riccardo Contini), del greco degli ebrei e del giudeo-greco (Dorota Hartman), dello yiddish (Raffaele Esposito), del giudeo-arabo di Libia (David Meghnagi), del giudeo-spagnolo (Laura Minervini), del giudeo-portoghese di Livorno (Viola Fiorentino), del bagitto livornese (Fabrizio Franceschini), esaminando inoltre tre casi più specifici – una nuova edizione dell’antica elegia giudeo-italiana (Sara Natale), l’elaborazione di un dizionario giudeo-romanesco (Marcello Aprile) e l’analisi del rapporto ebraico-volgare in alcuni libri di viaggio del XV e XVI secolo (Alessandra Veronese).
Un programma, come si può intuire, molto ricco e articolato. Fra gli spunti più interessanti, che meritano certo un ulteriore approfondimento in altre occasioni, quello relativo alla definizione stessa di una lingua (dialetto o varietà) “giudaica”: tutti d’accordo sul fatto che non basti un parlante ebreo per avere una giudeolingua, meno concordi sulla possibilità di arrivare a dei criteri oggettivi che definiscano tale varietà – il rapporto con l’ebraico (ma in tal caso l’ebraico stesso non sarebbe una giudeolingua), la presenza di un lessico specifico, uno scarto strutturale sensibile rispetto alla varietà co-territoriale di riferimento, l’esistenza di un glottonimo, l’investimento identitario?
Come si è visto nel corso del convegno, il ventaglio delle situazioni storiche e delle realtà linguistiche è molto ampio e non è sempre facile trovare dei punti in comune fra le diverse modalità con cui le comunità ebraiche hanno espresso nei secoli la loro identità nella comunicazione scritta e orale.
Laura Minervini
(9 giugno 2017)