lagnanze…

Lamentarsi senza un giustificato motivo è spesso un passatempo per chi, annoiato da una vita in cui le cose si ottengono troppo facilmente, cerca nuove emozioni e nuovi desideri.
Nel capitolo 11 del libro di Bemidbàr, le lagnanze gratuite di alcuni riottosi sono associate al rifiuto della manna e al desiderio di “carne che si mangiava in Egitto”. Quando si è depressi per guardare al futuro ci si rifugia in un passato mitizzato che forse non è neppure mai esistito. Se in Egitto non ricevevamo neppure la paglia per i mattoni figuriamoci se ci davano carne e pesce! In effetti il testo dice che è “….il desiderio stesso che desiderano” (Bemidbàr,11; 4).
Se la fedeltà al passato è orientata verso il futuro, la nostalgia del passato deriva, viceversa, da una mancata comprensione del passato e del presente. Il rifiuto della manna, un cibo sempre identico, ma continuamente mutevole di sapore, significa sottrarsi al faticoso cammino della conoscenza e ad un percorso dinamico pieno di interrogativi e di incognite. È l’illusione che solo le certezze apparentemente immutabili e a buon mercato possano proteggerci dalle sofferenze della crescita che ci porta a voltare lo sguardo all’indietro, all’Egitto. Nella geografia psicologica della Torà il luogo di questa esperienza si chiama “Kivròt Ha- Taavà”, “le tombe del desiderio….”. Quando il destinatario del nostro desiderio è sostituito da una morbosa smania di desiderare, il desiderio diventa la nostra stessa tomba.

Roberto Della Rocca, rabbino

(13 giugno 2017)