STORIA Sami Cohen: l’ultimo custode della memoria di Asmara

asmaraSamuel Menahem Cohen, Mansoor Jacob Cohen, Donatella Simeone ASMARA. EBREI IN ERITREA

In uno dei racconti de L’ebreo errante, Elie Wiesel rievoca il suo ritorno nella nativa Sighet, la piccola città della Transilvania da cui fu deportato nel 1944, con destinazione Auschwitz III-Monowitz. Liberato nel 1945 a Buchenwald, dov’era stato trasferito, scelse l’esilio in Francia e solo vent’anni più tardi rimise piede a Sighet, che gli sembrò irriconoscibile: “L’unico luogo dove mi sentii a casa fu il cimitero. È l’unico luogo di Sighet che mi ricorda Sighet, l’unico luogo che resta di Sighet”. Comincia da qui – dalla citazione di Wiesel e non casualmente da un cimitero – il volume Asmara. Ebrei in Eritrea, curato da Samuel Menahem Cohen, Mansoor Jacob Cohen e Donatella Simeone, con la collaborazione di Franco Dell’Oro, Moshe Jacob Cohen e ‘Adi Cohen. E nell’epigrafe, affidata ad alcuni versi tratti dal Sefer ta’me ha-mitzwot (“I morti di ogni famiglia di tutto Israele / sono legati come le radici di un albero, / i cui rami sono i vivi. / Da sempre i vivi sussistono per merito dei morti”), c’è l’intento degli autori: far conoscere e preservare la storia della comunità ebraica di Asmara dalle origini, sul finire del XIX secolo, all’inesorabile declino, nel 1975, salvandola dalla distruzione e sottraendo i suoi morti all’oblio. Quest’opera di recupero e ricostruzione certosina, iniziata nel 2009 e data alle stampe lo scorso dicembre, offre un’accurata documentazione di ciò che rimane della sinagoga e del cimitero ebraico della capitale eritrea, mappati nel corso di ripetuti sopralluoghi. Censisce e restituisce i volti di chi vi fu sepolto, attraverso la rilevazione puntuale di tutte le tombe con lapide e dei tumuli senza nome, poi confrontati con i dati del registro dei defunti del Municipio di Asmara. Fotografa, anche a partire dai diversi stili sepolcrali impiegati, la composizione e la stratificazione sociale di quella comunità (quanti sarti, quanti maestri, quanti industriali, geometri, ragionieri, commercialisti, avvocati, dentisti). Come in un’”Antologia di Spoon River”, prende spunto dalla semplicità scarna delle lapidi, impastate di quotidianità, affetti e relazioni, di una consapevolezza austera e composta del dolore, per raccontare chi non c’è più, ma si era sposato, aveva dei figli, un lavoro, un ruolo nella società. Molti dei dati e delle immagini raccolti nel libro provengono da Samuel Menahem Cohen, che ad Asmara è nato nel 1947. Dopo la laurea a Bologna in Economia e Commercio, la sua vita si è divisa tra Italia, Israele ed Eritrea, dove trascorre gran parte dell’anno nella cura di una sinagoga ormai senza minian né voci di preghiera, e nella conservazione della memoria della comunità ebraica di Asmara, di cui è l’ultimo superstite. Cohen è l’erede di una storia che parte da molto lontano, con la cacciata degli ebrei dai possedimenti spagnoli, nel 1492. Un piccolo gruppo di loro, anziché fuggire in Marocco, si diresse verso Livorno e Ancona, dove erano già presenti delle comunità ebraiche. Da questi porti strinsero relazioni commerciali con la sponda meridionale del Mediterraneo e poi sempre più a sud, fino ad Aden, nello Yemen dove, tra il XVII e il XVIII secolo, crearono un presidio. Un secolo dopo, a seguito delle persecuzioni subite dai dignitari musulmani e attratti dalle opportunità economiche scaturite dall’apertura del Canale di Suez (1869), decisero di spostarsi a Massaua, località strategica della neonata colonia italiana, che nel 1921 un terremoto rase al suolo. Questo nucleo di ebrei si rifugiò allora ad Asmara, sull’altopiano, costruendovi nel 1906 la sinagoga, con l’annesso miqwè, la scuola ebraica e una macelleria kasher. Nel 1936, quando Mussolini lanciò l’attacco all’Etiopia, giunsero dall’Italia altri fedeli, specialmente commercianti, imprenditori e militari. Ma due anni dopo, con le leggi razziali fasciste, Asmara non fu risparmiata dalle discriminazioni. Nel 1941, l’Eritrea passò sotto il controllo britannico e la comunità si ingrandì ancora, grazie ai tanti soldati inglesi di religione ebraica. Ma questa tendenza stava per invertirsi e in modo inarrestabile: con la fondazione dello Stato d’Israele, nel 1948, molti fecero la aliyah e altri, negli anni Cinquanta, puntarono verso Addis Abeba, che offriva migliori prospettive. Poi, nel 1974, l’esercito depose con un colpo di stato l’imperatore Hailè Selassiè e istituì un nuovo organo governativo, il Derg, di cui nel 1977 divenne leader plenipotenziario Hailè Mariàm Menghistu. Fin dal 1975, a causa dei soprusi inflitti dalla nuova giunta militare, che culminarono nella nazionalizzazione delle fabbriche, delle attività commerciali private e delle proprietà della comunità ebraica, gli ultimi membri lasciarono Asmara ed emigrarono in Israele, Inghilterra, Italia, Stati Uniti e Canada, finché non ne rimase più nessuno. O meglio: uno sì. Cohen frequenta ancora la sinagoga, perlopiù da solo, talvolta accompagnato da un paio di funzionari dell’ambasciata israeliana. Con la consolazione, però, di aver condotto un prezioso lavoro di custode della memoria. E di poter così incontrare, nelle sue preghiere, non solo Dio, ma anche tutti gli ebrei di Asmara che rischiavano di essere cancellati per sempre dalla storia.

d.m., Pagine Ebraiche, giugno 2017