Analisi scorretta
Che farà Trump?
Il Presidente Obama, per poter disimpegnare gli Usa dal Medio Oriente e lasciare la regione in uno stato di relativa pacificazione, aveva immaginato un equilibrio complesso che si sarebbe retto su tre principali potenze: lo Stato ebraico, l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita. Obama, si rifaceva alla dottrina dell’equilibrio tra potenze che si temono e non si combattono perchè la loro forza è equivalente.
L’Egitto e la Turchia, grazie alle loro relazioni, non eccellenti ma costanti, con Israele e i buoni rapporti di Al Sisi con i sauditi e di Erdogan con l’Iran, avrebbero tenuto aperti i canali di comunicazione di Israele con le altre due potenze. Il sistema oltre ad essere di complicata realizzazione, era anche troppo fragile ed è perciò naufragato prima che Obama potesse vederlo nascere.
Il Presidente Trump ha un’idea più semplice e conta sugli amici storici dell’America, Israele ed Arabia Saudita, per creare intorno ad essi un’alleanza militare che comprenda Egitto e Stati del Golfo, all’interno della quale chi esce dai binari è sanzionato, come abbiamo visto con il Qatar. Il nemico è l’Iran.
Il pezzo mancante nel puzzle di Trump è il rapporto tra Israele e Arabia Saudita. Del resto tra Israele e l’Egitto ci sono già piene relazioni diplomatiche e con gli Emirati ed Oman ci sono rapporti economici anche se non palesi .
L’Arabia Saudita, alfiere dell’Islam sunnita e custode dei luoghi santi musulmani di La Mecca e Medina, potrebbe migliorare i suoi rapporti con Israele solo se questo riuscisse a migliorare i suoi con il popolo palestinese, quindi cessare l’occupazione e consentire la creazione dello Stato Palestinese.
Nel 2002 a Beirut l’Arabia Saudita si fece portatrice di una proposta in questo senso: gli Stati aderenti alla Lega Araba avrebbero stabilito normali relazioni diplomatiche con Israele a condizione che questo si fosse ritirato ai confini precedenti alla guerra del ’67 e avesse accettato la nascita dello Stato palestinese.
I sauditi ora si aspettano che Donald Trump, per realizzare il suo programma in Medio Oriente, convinca Israele ad accettare il piano di Beirut. Ma il Presidente americano si è esposto troppo con la destra israeliana, la quale ha festeggiato la sua elezione a dir poco con esultanza, per poter oggi farsi sostenitore dello Stato palestinese in Giudea e Samaria.
Forse ci sarebbe spazio per un ulteriore compromesso, scambi territoriali tra Israele e palestinesi, aggiustamento di confini inglobando aree ormai densamente abitate da ebrei, ma il boccone amaro dello Stato Palestinese in Cisgiordania, andrebbe comunque mandato giù.
Il Problema di Trump non sembrerebbe neppure il pragmatico Netanyahu, sempre attento a sfruttare ogni occasione per rimanere in sella, ma piuttosto l’elettorato ebraico degli Stati Uniti. Il Presidente ha ricevuto il 35% del voto ebraico americano, quello della parte più conservatrice delle comunità, quella che non vuole né lo Stato Palestinese né la riconsegna dei territori occupati nel ’67, quella che si opponeva ad Obama e Hillary Clinton, accusandoli di imporre ad Israele proprio questa soluzione del conflitto.
Il Presidente americano ha già numerosi grattacapi, il problema di far quadrare l’alleanza israelo-saudita per ora può aspettare.
Anselmo Calò
(19 giugno 2017)