NARRATIVA Il Man Booker Prize premia David Grossman
David Grossman / A HORSE WALKS INTO A BAR / Penguin
La sorpresa era arrivata con l’annuncio della rosa dei sei finalisti, con due autori israeliani per la prima volta candidati contemporaneamente all’International Man Booker Prize. La giuria del premio letterario nato nel 2004 – una sezione di quello che è noto come “Il Booker”, assegnato ogni anno a un romanzo scritto in inglese e pubblicato nel Regno Unito – per il 2017 aveva scelto le opere di Amos Oz e David Grossman, insieme a quelle della danese Misha Hoekstra, del norvegese Roy Jacobsen, di Samanta Schweblin, argentina, e di Mathias Enard, francese. Assegnato ogni due anni sino al 2015 a un autore vivente di qualsiasi nazionalità il cui corpus letterario sia tradotto in inglese, e ora diventato premio annuale, è considerato un prestigioso riconoscimento alla creatività, alla storia letteraria e al contributo apportato alla fiction mondiale più che un premio alla singola opera.
E il premio per il 2017, cinquantamila sterline che vanno ad autore e a traduttore dell’opera vincitrice, è andato a A Horse Walks Into a Bar, di David Grossman, tradotto da Jessica Cohen. Tradotto in italiano nel 2014 da Mondadori e uscito col titolo Applausi a scena vuota, il romanzo del primo autore israeliano vincitore dell’International Man Booker Prize è stato definito da Nick Barley, presidente della giuria e direttore dell’International book festival di Edimburgo, come “Un libro capace di illuminare le conseguenze del dolore, senza lasciare spazio alcuno al sentimentalismo”. Apprezzata dalla giuria e citata nelle motivazioni del premio anche la capacità di Grossman di descrivere le emozioni e di assumersi rischi stilistici: “Ogni singola frase, ogni singola parola ha un peso in quello che è un mirabile esempio di scrittura”. Dovaleh Greenstein, attor comico dedito a battute volgari e aggressive, è il repellente personaggio di un romanzo ambientato in una piccola città israeliana. Orribile e affascinante, insopportabile e capace di ipnotizzare il suo pubblico così come i lettori, è descritto come basso, con gli occhiali, dalla corporatura gracile. Così come era già da ragazzino, quando – così viene descritto da chi lo conosceva, era incredibilmente vivace, macilento, e aveva la strana abitudine di camminare sulle mani. Uno spettacolo, un palcoscenico tra i tanti calcati da Dovaleh, diventa altro, nella prosa di Grossman: tra il pubblico siede un amico d’infanzia di Greenstein, stimato giudice che ora si trova a ripercorrere la vita dell’attore in una serata che inchioda il pubblico alle sedie. Mettendosi a nudo sul palco, racconta un dolore enorme che è stato trauma e continua a condizionarlo, ancora prigioniero di un estremo tentativo di venire a capo di quella giornata lontana, ancora incapace di camminare dritto, per sempre capace di affrontare il mondo solo a testa in giù.
Un libro che non parla di Israele, pur raccontandone una storia, bensì – come ha scritto Ian Samson – critico e a sua volta autore – “Un libro che narra della capacità che hanno persone e società di sopravvivere a un orribile maniera di funzionare. A volte possiamo capire una cosa del genere solo leggendo una storia, e Grossman, come il suo personaggio, Dovaleh, ha scritto un racconto di intensità e verità ineguagliabili”.
Intenso anche il commento di Grossman, che parlando del libro ha dichiarato che è necessario agire e reagire anche contro la gravità di un dolore immenso: “Devi semplicemente decidere che non cadrai”.
Per la giuria il libro è “Scritto con empatia, saggezza, e intelligenza emotiva. Una meditazione affascinante sulle opposte forze capaci di dare forma alle nostre vite. Umorismo e dolore, perdita e speranza, crudeltà e compassione, e come anche nelle ore peggiori troviamo il coraggio di andare avanti.
Nella seconda edizione della versione annuale del premio, in cui è anche la seconda volta in cui vengono scelte singole opere e non il complesso del lavoro letterario di un autore, colpisce anche come, sebbene in maniera meno evidente, non solo fossero israeliani due finalisti su sei, ma che ben tre di loro abbiano origini ebraiche: oltre a Amos Oz con Judas, infatti, anche Samanta Schweblin, candidata per il suo Fever Dream, appartiene a quello che in questa situazione si dimostra essere un vero e proprio popolo dei libri, premiati. Anche quando si tratta di romanzi.
Ada Treves twitter @ada3ves
(20 giugno 2017)