melamed – Addio alla storia

Nella scuola di qualche decennio fa tutto era storia: storia dell’arte, storia della filosofia, storia della letteratura. Guai a farsi traviare da allettanti ma fuorvianti percorsi tematici, guai a non contestualizzare, guai a ignorare le basi materiali della vita di artisti e personaggi letterari. Forse questo ridurre tutto a storia era eccessivo (tanto più per chi, come noi ebrei, si mette in testa anno dopo anno di essere realmente uscito dall’Egitto), ma, come spesso accade, in poco tempo si è passati da un estremo all’altro. La contestualizzazione storica non è più una percezione istintiva ma un esercizio faticoso; allievi anche molto bravi stentano a tener presente chi è venuto prima e chi è venuto dopo.
Forse è stata questa tendenza generale a portare nella prima prova dell’esame di stato alla proposta di un saggio breve storico in cui la storia entrava poco o nulla: sotto il titolo “Disastri e ricostruzione” si trovavano infatti un articolo dalla Repubblica del 30 ottobre 2016 su Montecassino, un articolo dal Sole 24 ore del 28 ottobre 2016 sull’alluvione di Firenze del 1966 e il famoso passo del Principe di Machiavelli in cui si parla della necessità di costruire argini per evitare che la piena del fiume sia rovinosa (chissà come avranno fatto gli allievi che hanno scelto questa traccia a mettere in relazione un fatto realmente accaduto con una metafora). Insomma, l’unico evento citato nel saggio storico che appartiene alla storia nel senso che s’intendeva una volta è la distruzione di Montecassino da parte degli alleati, che sembrerebbero dunque gli unici cattivi se l’articolo non si affrettasse a riconoscere che “lì nella battaglia contro i tedeschi hanno perso migliaia di soldati”.
La storia è spesso usata come pretesto per scatenare dibattiti o polemiche, e di conseguenza è divenuta sospetta. Forse anche per questo si è deciso di darle poco spazio nelle tracce dell’esame, e in particolare nella biografia di Caproni: “Nel 1939 fu chiamato alle armi e combatté sul fronte occidentale”; è sintomatico come questa frase quanto meno ambigua (induce a pensare che l’Italia sia entrata in guerra nel ’39) non abbia fatto scattare nessun campanello di allarme. Chiunque salterebbe sulla sedia leggendo che qualcuno si è imbracato con Cristoforo Colombo nel 1491; l’anno in cui il nostro Paese è entrato nella seconda guerra mondiale non sembra, viceversa, un’informazione che dovrebbe far parte del bagaglio culturale di ogni cittadino italiano. Così come chi ha scritto quella biografia ha ritenuto non rilevante raccontare cos’ha fatto Caproni negli anni dal 1940 al 1945. Era fascista? Antifascista? Salò? Resistenza? Meglio evitare di specificare, così non si scontenta nessuno.
Intanto, fuori dalla gabbia dorata dell’esame di stato, i dibattiti e le polemiche a partire da fatti storici veri, presunti o distorti sono più vivi che mai. E i ragazzi sembrano sempre meno attrezzati culturalmente per affrontarli.

Anna Segre

(23 giugno 2017)