NARRATIVA Se naufraga la pietà
Davide Enia / APPUNTI PER UN NAUFRAGIO / Sellerio
E sulla superficie del mare vedo una magliettina. / Una busta di plastica. / Un documento che galleggia. / Un morto. / Un pantaloncino. / Un paio di scarpe. / Un morto. / Due tappine. / Un braccialetto. / Tre morti». Così, in una prosa che rimanda al postmodernismo e che descrive i fenomeni per porre domande ontologiche (qual è la vera natura di noi umani), sapendo di non poterlo fare innocentemente, Davide Enia racconta quel che vede un soccorritore nelle acque del Canale di Sicilia, non lontano da Lampedusa. Enia, uomo di teatro e scrittore lo fa in un romanzo che fin dal titolo, “Appunti per un naufragio” (Sellerio; pp. 210; 15) con radicale onestà denuncia la difficoltà di narrare qualcosa che supera la nostra immaginazione. “Appunti”, perché la vicinanza temporale e il coinvolgimento emotivo estremo non permettono di scrivere un’opera letteraria perfetta. Eppure, nella sua imperfezione, il testo di Enia andrebbe trasformato in una recita da portare nei teatri e nelle piazze di questo Paese distratto e che si commuove (giustamente) per le vittime della Shoah, ma non riesce a realizzare quanto le future generazioni porranno a noi la stessa domanda che molti di noi hanno posto ai propri genitori o nonni vissuti ai tempi di Auschwitz: “Ma tu dove eri?”. E in concreto, il libro racconta il viaggio dell’autore a Lampedusa. I tanti soccorritori parlano non solo dei morti e dei naufraghi, ma anche delle torture subite nei campi della Libia, e sono pagine difficilmente sopportabili nella loro brutalità. In parallelo si narra la vicenda dello zio, afflitto da un tumore. E su tutto incombe il mostruoso naufragio del 3 ottobre 2014: 368 morti accertati.
Wlodek Goldkorn, L’Espresso, 25 giugno 2017