Periscopio – Ius Soli
Avendo l’onore di collaborare a una testata come questa, sulla quale scrivono alcuni tra i più autorevoli rabbini del mondo, mi guardo bene, nelle mie piccole note settimanali, di entrare, se non in modo assai generico e indiretto, in questioni di tipo halachico e religioso. Faccio, stavolta, in punta di penna, una parziale eccezione, per esprimere una mia semplice sensazione a proposito dell’acceso dibattito sulla questione del cd. “ius soli”, e delle sue molteplici implicazioni umane, etiche e giuridiche. Non un giudizio, non una proposta, non un’interpretazione testuale, ma, come ho detto, una semplice sensazione.
Com’è noto, la Torah contiene un’articolata serie di precetti (contati da Maimonide nel numero di 613), che rappresentano, nel loro insieme, per l’ebreo osservante, la “halachah”, la retta “via” da seguire. Tra questi, risalta, per la sua reiterazione, il comandamento che impone di essere giusti e compassionevoli nei confronti dello straniero (gher), che appare ripetuto ben quattro volte, con parole simili: Esodo 22.20: “Non ingannare né angustiare lo straniero, poiché stranieri foste nella terra d’Egitto”; 23.9: “Non angustiare lo straniero, voi ben conoscete l’animo dello straniero, poiché stranieri siete stati nella terra d’Egitto”; Levitico 19.33: “Quando uno straniero dimora con voi nel vostro paese, non dovete fargli sopruso”; 34: “Il forestiero che dimora con voi dev’essere per voi uguale a un vostro indigeno. E vorrai per lui quel che vuoi per te, poiché siete stati stranieri in terra d’Egitto”; Deuteronomio: 24.17: “Non violare il diritto dello straniero e dell’orfano…”;18: “Ricordati che fosti schiavo in Egitto e il Signore tuo Dio ti redense da lì”.
Tale dovere di rispetto e solidarietà, inoltre, è anche collegato a una molteplice serie di più specifiche disposizioni (ben trentasei, numero sottolineato, per la sua evidente rilevanza, nel Talmud), volte a disciplinare l’atteggiamento da assumere nei confronti del gher, per evitargli vessazioni e ingiustizie.
Non mi permetto, ovviamente, di interpretare tali versi, per dedurre da essi quale debba o possa essere la loro corretta accezione nell’odierna congiuntura storica e sociale. Si tratta di una questione interna alla religiosità ebraica, riguardo alla quale la mia posizione è esclusivamente quella dello studio e dell’ascolto. Potrei, se mai, dare un mio contributo interpretativo solo se fossi ebreo e osservante, cosa che non è.
Com’è noto, però, dalla Torah e dal Talmùd si ricavano anche dei precetti generali, cosiddetti ‘noachidi’, dati da Dio prima ad Adamo e poi a Noè, e valevoli per l’intero genere umano. E, per mia fortuna, sono molto meno di 613, solo 7. E, su questi, in quanto figlio di Adamo e di Noè, posso tranquillamente dire la mia. C’è, tra i sette precetti noachidi, l’obbligo di accoglienza per lo straniero? No, non c’è. Tutti i fautori dei muri e dei respingimenti e gli oppositori dello “ius soli” potrebbero quindi, apparentemente, stare tranquilli, continuando a considerarsi – ove mai la cosa gli importasse – dei buoni discendenti di Adamo e di Noè.
C’è, però, un piccolo dubbio che mi sorge, dandomi la sensazione che ho detto, che scaturisce dalla motivazione data ai precetti sul gher, nei quali, come ho ricordato, il dovere di accoglienza è collegato al dovere, da parte degli ebrei, di ricordare il loro passato di stranieri in terra d’Egitto. Non è frequente, com’è noto, che le ‘mitzvòt’ bibliche siano corredate da una motivazione, e proprio sul senso di tale particolare motivazione ci sono state diverse discordanti interpretazioni (per esempio, tra Rashi e Maimonide). Non c’è dubbio, però, riguardo al fatto che la memoria della passata condizione di straniero rappresenti, di per sé, oltre che un presupposto logico del dovere di rispetto e accoglienza verso gli stranieri, anche un precetto a sé stante. Gli ebrei devono ricordare chi sono e cosa sono stati in passato.
Ma non avevi detto, potrebbe obiettarmi qualcuno, che nelle questioni della religione ebraica non ti immischi? Come noachide, occupati solo dei precetti noachidi, tra i quali non c’è né l’obbligo di accoglienza dello straniero né il dovere della memoria delle passate peregrinazioni.
E qui viene la mia sensazione. La sensazione che i precetti noachidi siano sette per tutti i gentili, ma possano – anzi, debbano – diventare otto, comprendendo anche il dovere di accoglienza verso lo straniero, per quei gentili che facciano parte di un popolo che abbia anch’esso, alle proprie spalle, un lungo passato di migrazioni e sofferenza. Come, per esempio, il popolo italiano, per il quale dovrebbe essere scolpito, in eterno, il seguente comandamento: “Ricorda quanti calabresi, siciliani, campani, lucani, sono stati costretti a lasciare la loro terra inospitale, per non farvi mai più ritorno”.
Francesco Lucrezi, storico
(28 giugno 2017)