Radical chic
Nel suo intervento di martedì Rav Roberto Della Rocca definisce Qorach – il capo della ribellione contro Mosè narrata nella parashà dello scorso shabbat, “un radical chic che, sfruttando la sua privilegiata posizione, gioca con le idee senza doverne pagare mai il prezzo … un rivoluzionario un po’ snob al quale conviene di più criticare e distruggere il lavoro degli altri che mettersi personalmente in gioco.” Onestamente non ricordo di aver mai sentito usare l’espressione “radical chic” in questo senso. Certamente non viene usata in questo senso nell’ambito dell’ebraismo italiano, dove capita di leggerla o sentirla spesso per indicare un giornale ebraico che vive grazie al lavoro volontario di molte persone e alla generosità dei suoi lettori, consiglieri o presidenti (passati o presenti) di Comunità o dell’Unione, e, naturalmente, molti collaboratori di Moked e di Pagine ebraiche; in pratica, la definizione di radical chic prima o poi viene appioppata a chiunque abbia opinioni anche solo vagamente progressiste e operi a titolo volontario nell’ambito delle Comunità o dell’Ucei. Paradossalmente mi pare il contrario della definizione di Qorach data da Rav Della Rocca: è effettivamente possibile che i cosiddetti “radical chic” in qualche occasione abbiano rivolto critiche a qualcuno (istituzioni ebraiche, rabbini, governi italiani e/o israeliani), ma non mi pare che questo sia il punto essenziale; in moltissimi casi è il volontariato nel mondo ebraico in sé che viene guardato con sospetto, perché se puoi permetterti di dare il tuo tempo gratis vuol dire che sei un riccone che ha tempo da sprecare e non capisce le esigenze della gente “vera”, oppure che agisci per qualche fine recondito.
Personalmente, quando penso alle vicende narrate nella parashà di Qorach, ho pochi dubbi su chi sia la persona che più facilmente sarebbe definita radical chic: colui che è cresciuto alla corte del faraone, non è mai stato soggetto alla schiavitù, se n’è stato per un bel po’ di anni all’estero e poi è tornato e si è messo in testa di fare la rivoluzione. Più radical chic di così…
Anna Segre
(30 giugno 2017)