Simone Veil (1927 – 2017)
Strasburgo, 18 luglio 1979. Simone Veil, nominata presidente del primo Parlamento europeo eletto a suffragio diretto e universale, pronuncia un memorabile discorso in cui chiama il Vecchio Continente ai suoi compiti per costruire insieme un futuro di pace, dopo le ferite delle due guerre mondiali: “Per raccogliere le sfide lanciate all’Europa – dichiara Veil, ebrea francese, sopravvissuta ad Auschwitz e simbolo delle lotte per i diritti civili – dovremo perseguire tre obiettivi: l’Europa della solidarietà, l’Europa dell’indipendenza, l’Europa della cooperazione. L’Europa della solidarietà anzitutto: della solidarietà tra i popoli, tra le regioni, tra le persone”. Sono passati quasi quarant’anni da quel discorso ma le sfide richiamate dall’allora presidente del Parlamento europeo sono ancora profondamente attuali. Ed è questo testimone che Veil, scomparsa oggi all’età di 89 anni, lascia all’Europa. Una donna che, come scrive la giornalista di Le Monde Anne Chemin, rappresentava “i tre grandi momenti della storia del Ventesimo secolo: la Shoah, l’emancipazione delle donne e la speranza europea. Durante la sua vita, – sottolinea Chemin – Simone Veil ha infatti sposato, a volte suo malgrado, il tormento di un secolo fatto di grandi disperazioni, ma anche di grandi speranze: è stata una dei pochi ebrei francesi a sopravvivere alla deportazione ad Auschwitz, ha simboleggiato la conquista del diritto all’aborto ed è una delle figure della costruzione dell’Europa”. “Il destino fuori dal comune di questa ragazza francese deportata ad Auschwitz, diventata magistrato, ministro, primo presidente del Parlamento europeo è fonte d’ispirazione. Attraverso il suo essere esigente e leale, questa attivista per i diritti delle donne ha segnato con coraggio e dignità la vita politica e intellettuale della Francia”, il ricordo di Francis Kalifat, presidente del Conseil Représentatif des Institutions Juives de France (organizzazione che rappresenta l’ebraismo d’Oltralpe). E sono tanti i contributi e le parole che in queste ore raccontano la storia e il ruolo di Simon Veil, donna che visse da assoluta protagonista il Novecento europeo.
“L’immagine di una resiliente di Francia”, la descrizione che ne dà il Gran Rabbino di Francia Haim Korsia. “Nonostante tutto ciò che ha vissuto, è rimasta così attentata ai più deboli, è diventata un segno luminoso di speranza – le parole di rav Korsia – Lei per me era l’incarnazione del versetto del Deuteronomio, ‘ecco, ho posto davanti a te la vita e la morte (…), e tu sceglierai la vita”.
Nata a Nizza il 13 luglio 1927, è la quarta figlia di una famiglia ebraica laica e con radici francesi da generazione: i Jacob. “L’appartenenza alla comunità ebraica era rivendicata soprattuto da mio padre, non per motivi religiosi ma culturali”, scriverà nella sua autobiografia la Veil. Il padre André è un veterano di guerra: ha partecipato al primo conflitto mondiale, combattendo, come tanti ebrei, nel nome della patria. Diventerà un architetto di fama ma nel 1940 la legislazione antisemita porrà fine alla sua carriera e poco dopo alla sua vita: nel 1944 la famiglia Jacob viene arrestata a Nizza. Il 13 aprile 1944 Simone, la madre e una delle sorelle, Madeleine, vengono stipate nei vagoni piombati e deportate ad Auschwitz-Birkenau. Del padre e del fratello Jean si perderanno le tracce in Lituania, in un altro viaggio della morte verso i Lager nazisti. “Il fatto di essere stata deportata mi ha talmente marchiata che posso dire, anche se può sembrare assurdo, che questa è la cosa più presente nella mia vita. – spiegherà in un suo discorso la Veil – Anche quando cerco di sfuggirne, c’è sempre qualcosa che me la ricorda: un’impressione personale, un’intenzione o un avvenimento, un odore. I riferimenti a Auschwitz sono d’altra parte diventati quasi banali, vi fanno ripiombare nel passato anche se non sono sempre appropriati. Per gli ex deportati il passato resta presente, ci lega, ci perseguita, impregna i nostri pensieri e le nostre notti”.
Liberata insieme a una delle sorelle dal campo di Bergen Belsen il 27 gennaio 1945, Viel ritornerà nella sua Francia, orfana dei genitori (la madre muore di tifo durante la prigionia). A Parigi, studia legge e scienze politiche e incontra il futuro marito, Antoine Veil, iscritto all’Ecole Nationale d’Administration, che forma i migliori funzionari del Paese. Nel 1954 supera il difficile concorso per diventare magistrato e come funzionario del Ministero della Giustizia, ricorda il New York Times, lavora per aiutare a migliorare le condizioni di vita per le prigioniere donne, comprese le algerine detenute durante la guerra l’indipendenza condotta dal paese africano. Poi il presidente francese Valéry Giscard d’Estaing la chiama nel suo governo: a 47 anni Veil diventa la seconda donna di Francia ad guidare un ministero, quello della Salute. Mentre ricopre questo incarico porta avanti la legge sull’aborto, che la renderà celebre quanto bersaglio degli attacchi degli antiabortisti: “Penso che la situazione attuale sia ingiusta e sbagliata. – spiegherà in un’intervista prima del voto – È ingiusta per le donne, perché è soprattutto nei confronti di quelle più povere e sfavorite che il diritto penale è più rigido. Per le altre è molto facile andare in Olanda, in Inghilterra e anche trovare un medico che lo faccia in Francia, ce ne sono, si sa. Invece le donne sbandate, meno informate, che non hanno denaro, che sono sole nelle campagne o anche in condizioni di vita molto difficili nelle città, non sanno come fare quando aspettano un bambino di cui davvero non possono farsi carico. Ecco, questo è il motivo per cui pensiamo che la situazione sia inaccettabile e desideriamo cambiarla. Perché ci sono troppe donne che interrompono una gravidanza in circostanze dolorose”.
Durante il feroce dibattito parlamentare sulla legge, tra i contrari c’è chi fa paragoni con l’eutanasia nazista: “signor ministro, vuoi mandare i bambini nei forni?”, la vergognosa domanda che si sente porre Veil.
La legge passerà e qualche anno dopo, nel 1979 arriverà l’elezione alla presidenza del Parlamento europeo, l’altra grande passione di Veil. A spingere per la sua nomina, Valéry Giscard d’Estaing. “Per lui il fatto che un ex deportata diventasse presidente del nuovo Parlamento di Strasburgo era di buon auspicio”, scriverà la donna. A ricordare quegli anni, le parole riportate da Le Monde del politico francese Jacques Delors, convinto europeista: “Il Parlamento europeo stava facendo i suoi primi passi, tutto era nuovo, tutto doveva essere inventato. Stavamo vivendo l’inizio carico di entusiasmo dell’Europa, ma durante la sua presidenza Simone Veil mostrò una qualità rara: il discernimento. Durante il suo discorso inaugurale, sottolineò le difficoltà dell’integrazione europea”, senza mai dimenticare le ferite del passato e l’impegno della Memoria.
“Femminista, ma custode della differenza di genere, paladina dei più deboli, ma contraria alla vittimizzazione, severa con sé e con gli altri nel rifiutare la Legion d’onore in modo implacabile: ‘Non basta essere finiti in un campo di sterminio per meritare una decorazione”, l’omaggio che l’intellettuale Jean d’Ormesson le tributerà nel giorno in cui Veil entrerà a far parte dell’Académie française. “Passiamo il nostro tempo a cospargerci di lodi più o meno meritate: siamo una società di mutua ammirazione, come Voltaire già denunciava a suo tempo. Quest’ammirazione l’attiri, ovviamente, anche tu – dirà ancora d’Ormesson, salutando l’ingresso di Veil nell’olimpo della cultura francese – Ma nel tuo caso qualcos’altro è coinvolto: il rispetto, l’affetto, una sorta di fascinazione. Molti, in Francia e oltre, vorrebbe averti, a seconda della loro età, come confidente, amica, madre, o forse come donna della loro vita”.
Daniel Reichel
(30 giugno 2017)