Oltremare – Similnebbia
Quando si è nati e cresciuti a Torino come me, e per giunta nella Torino pre-2006 quando nessuno poteva neanche immaginare che quel grigiume triste condito da troppi tubi di scappamento si sarebbe trasformato in una città piena di isole pedonali e verde e cultura e maratone e gelati mangiati camminando con il naso in aria a guardare le geometrie progettate da qualche genio dell’architettura; quando si è nati e cresciuti a Torino, dicevo, se ci si sveglia con la nebbia di solito è autunno o inverno, fa freddo e umido e il riscaldamento è acceso. La nebbia fa bene ai campi, protegge l’uva, ed è una cosa fredda, per quanto impalpabile. Negli anni è diventata rara: man mano che Torino prendeva colore e vita, lei si ritirava, e non sappiamo ancora davvero qual’è il prezzo della sua quasi scomparsa. Perciò la nebbia di chamsin quando compare qui in Oltremare – rara anche lei a dire il vero – confonde i sensi e il passaggio dagli occhi al cervello non basta per acquisirne il significato. Bisogna uscire e provare addosso il caldo umido appiccicoso che si porta dietro. Quella cosa lattiginosa là fuori dalla finestra forse non è proprio nebbia ma piuttosto vapore, ancora non ribollente prima delle sette del mattino, ma che promette già caldo intenso e togli fiato. Dura poco, e non staziona in banchi come in nord Italia. Bagna ugualmente le automobili, ma alle nostre temperature non imperla i parabrezza di quella crosticina di ghiaccio leggero che si scioglie all’alba. La nebbia dell’alba di chamsin ha l’animo della tregua: finchè ci sono io si sta sotto ai 30 gradi, se devi correre da qualche parte fallo adesso, chè quando mi volatilizzo correre è fuori discussione. Perchè anche quando un giorno di chamsin inizia con una nebbia mattutina, tempo pochi minuti e siamo tutti bradipi, che camminiamo lenti e schiacciati a terra dal calore, e l’idea che la nebbia possa essere una cosa fredda è un miraggio.
Daniela Fubini, Tel Aviv
(3 luglio 2017)