Edà…

Tre sono i termini maggiormente adoperati per definire una Comunità: Tzibbùr, Kahal-Kehilà, Edà. Lo Tzibbùr può essere paragonato a una sorta di consorzio che deve assicurarsi alcuni servizi comuni fondamentali; il Kahal-Kehillà è una convocazione di assemblea permanente; l’Edà è la forma più elevata di congregazione, con il suo significativo richiamo etimologico a quella radice che indica la testimonianza, Edùt. Come a dire che la sfida di ogni Tzibbùr e di ogni Kehilà resta quella di riuscire a elevarsi e trasformarsi in una Edà. Un insieme di individui che stanno assieme per portare avanti una testimonianza e un progetto particolari. Nella sezione di Chukkàt che abbiamo letto lo scorso Shabbat, a Moshè viene comandato di convocare l’Edà, di prendere con lui la verga e parlare alla roccia. Moshè invece convoca il Kahal anziché l’Edà, percuote la roccia da cui esce l’acqua con la quale il popolo si disseta. Anche se la roccia, che rappresenta il popolo, è dura e viene voglia di spaccarla con la forza dell’autorità (la verga), Moshè avrebbe dovuto tirare fuori l’acqua (paragonata sempre alla Torah) dal popolo ebraico “roccioso”, parlando e spiegando. È di fatto questa la colpa imputata a Moshè che sancirà la conclusione della sua leadership. Quando un leader non riesce più a far uscire “l’acqua-Torah” dalla “roccia-popolo” con la parola, e si vedrà, viceversa, costretto a ricorrere a ripetute bacchettate, è la sua leadership a dover essere messa in discussione. Perché questo è il segno che lui per primo non crede più nella possibilità che la sua Comunità potrà trasformarsi da Kahal-Kehilà in una Edà.

Roberto Della Rocca, rabbino

(4 luglio 2017)