Errare musicalis est

lotoroL’errore è generalmente considerato incidente di percorso, sbaglio di rotta, strada contromano, intruso nelle capriate di una abbazia; nella musica l’errore può invece essere soluzione di un ingorgo di linee strutturali troppo perfette, punto di fuga di un contrappunto congestionato, fretta non calcolata che diviene rivelatrice di inattesi squarci di panorama in una sonata o in una sinfonia.
L’universo concentrazionario esordisce con un errore nel giugno 1940 ossia la “B” di “Arbeit macht frei” che il fabbro prigioniero polacco Jan Liwacz montò al rovescio all’ingresso di Auschwitz I; una consonante capovolta si trasformò in lettera prioritaria di richiesta d’aiuto all’Umanità.
Ad Auschwitz II Birkenau la giovane violinista ebrea Eva Maria Segre scrisse nella cassa armonica del suo violino un enigma musicale in 14 note intitolato “Der Musik macht frei” laddove quel “Der” sembra un errore grammaticale (dovrebbe essere “Die Musik”) e invece è la chiave di volta di una vita che Maria troncò sul filo elettrificato del Lager non senza aver fatto giungere al fratello Enzo Levi Segre il violino e quella strana frase d’amore per la musica e per l’uomo che verrà.
Nel 1944 a Theresienstadt Viktor Ullmann scrisse le cadenze dei Concerti per pianoforte e orchestra di L.v. Beethoven per un irrealizzato progetto di integrale (solista René Gärtner–Geiringer che morì a Birkenau nell’ottobre 1944); sull’autografo era erroneamente riportato “5” Cadenze, corretto da Ullmann in “4” quando rammentò che il Concerto “Imperatore” non ha cadenza pianistica esterna.
Resta il fatto che delle cinque cadenze (corrette a quattro) son pervenute soltanto quelle relative ai concerti op.15 e op.37 e anche questo sembra a prima vista un errore; tuttavia, come illustrò il compianto amico e musicologo Robert Kolben, Ullmann scrisse di proprio pugno le cadenze dei soli concerti dei quali Beethoven non compose cadenze autografe (esattamente i concerti op.15 e op.37), limitandosi a stendere a memoria le restanti due cadenze originali di Beethoven.
La copia dei rarissimi Lieder di L.v. Beethoven scritti a mano dal cantante ebreo ceco Karel Berman e conservata a Theresienstadt contiene alcuni errori; Berman non possedeva il proprio spartito dei Lieder, pertanto fu costretto a riscriverli a memoria sia nella parte vocale che in quella pianistica.
Nei testi delle cartoline che il compositore e chitarrista polacco Alexander Kulisiewicz scriveva dal Lager di Sachsenhausen in perfetta lingua tedesca compaiono lettere o sillabe scritte con calligrafia più marcata che, dal punto di vista grammaticale, sono sbagliate; il censore della posta di Sachsenhausen avrà sicuramente pensato a errori di lingua di un deportato polacco mentre invece quelle lettere erano note in notazione musicale tedesca (A, B, C, D, E, F, G, H, Des, Es, Ges, As, Bes) di canzoni create nel Lager e assemblate dopo la Guerra dall’autore sopravvissuto.
Nel primo movimento della VIII. Symphonie op.99 che Ervin Schulhoff scrisse nel 1942 nello Ilag XIII di Wülzburg (morì di tubercolosi nello Ilag) c’è un poema per coro maschile di ispirazione comunista, al quarto verso di ogni strofa ci sono tre virgolette; il testo fu redatto in un foglio conservato da Petr Schulhoff, figlio del compositore, anch’egli internato a Wülzburg e sopravvissuto.
Secondo Petr il testo di ogni quarto verso è l’evocazione dei padri del comunismo “Marx, Engels, Lenin, Stalin” ma deve esserci un errore poiché suo padre scrisse in partitura la metrica del quarto verso di ogni strofa ed essa contiene la scansione di tre nomi anziché quattro (anche le virgolette sono tre); Petr può aver ricordato male, nella ricostruzione optai per “Marx, Lenin, Stalin”.
La letteratura musicale è disseminata di refusi dovuti a fisiologici errori di trasmissione manuale degli autografi, infernali ritmi di lavoro dei copisti o altro; da Schubert che dava alle stampe le proprie opere senza revisione per risparmiare sui correttori di bozze a Beethoven che fermò la stampa della Sonata Hammerklavier op.106 pur di aggiungere le due battute iniziali dell’Adagio (le spedì scritte di suo pugno) sino a Ravel che sbagliò la metrica delle prime battute di Ondine de Gaspard de la Nuit e se ne accorse a stampa inoltrata…
Mai lasciarsi intimidire dal testo scritto se l’anima musicale “avverte” che in quel punto o altrove potrebbe esserci un errore; la filologia non è ricezione passiva ma trasmissione attiva del testo e, così intesa, è l’unico strumento in grado di riconsegnare alla posterità una letteratura di inimmaginabile ricchezza quale la musica concentrazionaria, inevitabilmente interessata da sviste e lacune (molte di meno di quanto si possa immaginare, in verità).
A proposito di errori (mi rivolgo agli addetti ai lavori), andate alla Fuga III primo libro del Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach e invertite le ultime due note del secondo movimento a battuta 26 (mano sinistra), 28 e 53 (mano destra); non solo il periodo diventerà simile al soggetto – nell’originale risulta stranamente diverso – e nel primo caso risolve un problema di raddoppio della dominante (inusuale in una fuga a tre voci) ma trasforma un povero accordo di quinta in un ricco accordo di settima.

Francesco Lotoro

(5 luglio 2017)