Chevròn…

Oggi con il digiuno del 17 di Tamùz ha inizio quel periodo di lutto crescente, di tre settimane, che culminerà col digiuno del 9 di Av. È curioso come nelle pagine talmudiche che trattano della distruzione del Tempio e dello Stato ebraico, i nostri Maestri anziché ricondurre alla forza delle varie potenze militari le disgrazie che si sono abbattute ineluttabilmente sul nostro popolo, cercano, piuttosto, in modo quasi maniacale, le cause interne che hanno portato alla catastrofe. Con aneddoti e motivazioni la cui banalità appare spesso sproporzionata all’entità della tragedia. Eppure, sono storie paradigmatiche di una degenerazione etica che caratterizzava una struttura sociale formalmente ligia ai propri doveri “religiosi”. Il Talmùd ci guida in una lettura della storia dal di dentro, dove i protagonisti non sono “i dominatori”, quali, Nabucodonosor, Tito, Adriano , ma piuttosto i “resistenti” come Rabbi Yochanàn ben Zakkai con il suo esempio di quella resilienza religiosa e culturale che ci ha permesso di essere ancora ciò che siamo.
Come ebrei ci ritroviamo oggi a dover fronteggiare una nuova guerra, quella di un revisionismo culturale, dove sia una certa Chiesa, che un certo Islam, tentano in vari modi di sostituirsi al popolo ebraico per delegittimarlo e per appropriarsi indebitamente dei suoi luoghi della memoria e della sua identità. Tutto questo con l’imprimatur della nostra “civilissima” Europa che cerca di ripulirsi la propria sporca coscienza santificando la Shoah e al contempo cacciandoci dalla Storia. Ma la mia preoccupazione non è l’Unesco, un organismo che si delegittima da solo e che sarà spazzato via come tutti gli altri nostri detrattori di turno. Sulla scia dei Maestri del Talmud e cercando una lettura dal di dentro, mi angoscia piuttosto constatare quanti ebrei, spesso anche tra coloro che ci rappresentano all’esterno, che, per compiacere una certa cultura dominante, non si interrogano neppure su cosa rappresenti Chevròn per il nostro popolo. Ci basti riflettere soltanto sulla radice ebraica della parola “Chevròn”, CH-V-R, che indica l’amicizia e la connessione. Una città che, ancor più di Yerushalaim, ci rende amici e connessi alle nostre radici.

Roberto Della Rocca, rabbino

(11 luglio 2017)