Vane chiacchiere
“Il sonno del mattino, il vino del mezzogiorno, le chiacchiere dei bambini e la frequentazione dei luoghi di ritrovo degli ignoranti trascinano l’uomo fuori dal mondo” (Pirké Avot 3, 14), però va detto anche che “Chi impara da bambino a cosa assomiglia? A inchiostro scritto su carta nuova; e chi impara da vecchio a cosa assomiglia? A inchiostro scritto su carta cancellata” (Pirké Avot 4, 25).
In entrambi i casi il testo usa il termine bambino, ילד ieled (e queste sono le uniche due occorrenze in tutto il testo), mentre altrove si parla di figli, בנים banim, sempre con accezione positiva: “Caro è Israel, chiamato figli dell’Onnipresente…figli del Signore D-o vostro” (Pirké Avot 3, 18) dove banim riguarda i figli di Israele; “la bellezza, la forza, la ricchezza, l’onore, la sapienza, l’anzianità, la canizie e i figli, si addicono ai giusti e si addicono al mondo” (Pirké Avot 6, .
Nella prima mishnà apparentemente il concetto del bambino sembrerebbe negativo, se ponessimo attenzione al termine bambino, mentre l’accostamento con la mishnà successiva permette di comprendere quale sia il pericolo da cui stare in guardia: non i bambini in sé o il loro chiacchiericcio (שיח siah), ma il chiacchiericcio in quanto tale ove non vi sia conversazione (di studio).
La seconda mishnà riportata incentra l’attenzione, infatti, su chi impara, לומד lomed (dalla radice lmd למד da cui ad esempio talmid, studente, e Talmud) versus chi chiacchiera, e sta all’adulto fare del bambino colui che non sia dedito solo alle vane chiacchiere ma sia indirizzato allo studio. Per imparare da bambini bisogna avere dei maestri con cui studiare, dunque, cosa che distoglie dalle futili chiacchiere.
Questo concetto è richiamato in Pirké Avot 3,9: “Colui che procede per la strada studiando e interrompe il suo studio (משנתו mishnatò) e dice: com’è bello quest’albero…la Scrittura lo considera come colui che mette in pericolo la sua vita”, come a dire che lodare il creato come conseguenza dell’operato divino è meritevole e ben diverso da considerare il Signore e la sua Torà altro dalla natura, quasi che questa fosse meccanicamente in essere per leggi naturali e non per il volere di Kadosh BaruchHu e quindi segno della sua grandezza.
Di qui la benedizione al Signore per la bellezza della natura come segno divino,
שככה לו בעולמו , SheKakà lo be’olamò, a Lui che “ha queste cose nel Suo mondo” (Rambam, Berachot 10,13).
Come scritto in Avodà Zarà 3b, “Rabbì Levi dice, colui che smette di studiare parole di Torà ed indulge in vane chiacchiere
שיח siah, mangerà radici di ginestra, come è scritto ‘tagliano l’erba salata sull’arbusto, radici di ginestra è il loro cibo'”, con riferimento a Giobbe 30, 4,
הַקֹּטְפִים מַלּוּחַ עֲלֵי שִׂיחַ וְשֹׁרֶשׁ רְתָמִים לַחְמָם, dove siah è arbusto oltre che chiacchiera, e si può quindi rendere “si allontanano dalle Tavole (della Torà) per vane chiacchiere e mangeranno radici di ginestra”.
Sara Valentina Di Palma
(13 luglio 2017)