Priorità

Anna SegreNelle discussioni a proposito dello ius soli mi è capitato talvolta di sentire qualcuno affermare che nell’Italia di oggi ci sono ben altre priorità. In passato l’ho sentito dire per altre leggi volte a tutelare specifici gruppi di persone, per esempio quella sulle unioni civili. Credo che valga la pena di spendere due parole per riflettere sull’insidia celata dietro ad argomentazioni di questo genere.
C’è chi afferma che non è una priorità ciò che riguarda un numero limitato di persone; ma sono proprio le minoranze ad essere bisognose di tutela, e dunque quando si parla di diritti civili è quasi inevitabile che si parli di minoranze. Una società che non si preoccupa di garantire i diritti delle minoranze è una società malata nel suo complesso. Le leggi razziali riguardavano poche decine di migliaia di persone, ma avrebbero dovuto suonare come un campanello d’allarme per tutti.
Tutto ciò, comunque, è abbastanza evidente, se non altro all’interno del mondo ebraico. Ma c’è un altro discorso ancora più insidioso: l’idea stessa di priorità, che spesso viene confusa con l’urgenza. Come se ci fosse qualcosa di male nel trattare un tema quando ce ne sono altri più urgenti. Seguendo questa logica non si potrebbe mai discutere e legiferare su nulla che non sia come far fronte alle calamità naturali e garantire a tutti le cure mediche essenziali, un minimo di reddito e un tetto sulla testa: niente arte, cultura, sport, spettacolo, niente programmazione economica di lungo termine, e anche sull’utilità dell’istruzione ci sarebbe da discutere. Un mondo che si occupasse solo delle cosiddette priorità sarebbe un mondo da incubo, un’utopia negativa.
Occuparsi di ciò che oggi non pare urgente non è solo legittimo, ma, anzi, dovrebbe essere la normalità. Quando un problema diventa urgente è troppo tardi per risolverlo. Lo spiegava già Machiavelli con la sua efficacissima immagine del fiume per cui bisogna provvedere argini nei momenti di calma, perché quando sarà in piena travolgerà tutto e non sarà più possibile fare nulla. Forse non è un caso se nelle tracce della prima prova dell’esame di stato quel passo è stato citato a sproposito come se fosse un testo che parla di calamità naturali: a più di cinquecento anni di distanza il messaggio di Machiavelli fatica ancora a farsi strada.

Anna Segre, insegnante

(14 luglio 2017)