Setirot – Che cosa chiediamo
Triste constatazione: da anni, ormai decisamente troppi, chiediamo alla galassia musulmana di affrontare in prima persona, di petto, con forza il proprio “scandalo”, ovvero l’orrore assassino con cui una (fortunatamente) piccola porzione di quel mondo va insanguinando il presente della Storia. Qualcosa, certo, si è mosso, ma non abbastanza. E così, se da un lato noi continuiamo a chiedere all’Islam una maggiore incisività nella lotta al proprio interno contro i terroristi, i fanatici, i predicatori di morte, dall’altro lato guardiamo con enorme preoccupazione e – perché no? – un angosciante senso di déjà vu l’aumentare del clima razzista anti straniero/migrante/diverso fomentato gaglioffamente da chi cerca consenso e voti soffiando sulla esasperazione.
Non bastano, giustamente, le voci di intellettuali e capi spirituali che gridano nel deserto la loro condanna. Non bastano i casi di famiglie e compagni di moschea che denunciano figli e amici in odore di radicalizzazione. Chiediamo di più, com’è sacrosanto che sia. E però nel medesimo tempo, invece di “esaltare” queste figure giuste e coraggiose, invece di dar loro una mano nel renderle note e propagandarle, c’è chi le sminuisce o, peggio, le dileggia.
Vediamo… L’intellettuale francese (ebreo) Marek Halter organizza insieme a Hassen Chalghoumi, presidente della Conferenza degli imam francesi, un viaggio con sessantatré imam nell’Europa ferita del terrorismo islamico. Chi sono questi imam? Da quello della Grande Moschea di Tunisi a quello della Grande Moschea di Berlino, il muftì di Spagna, del Portogallo, di Marsiglia e del Mali, della Guinea, di Parigi, del Belgio, del Regno Unito… E poi Halter racconta 4.500 chilometri attraverso l’Europa straziata, con tappe particolarmente toccanti. «Per esempio nella piccola chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, dove padre Jacques Hamel è stato sgozzato il 26 luglio 2016, i rari giornalisti presenti sono scoppiati a piangere vedendo gli imam pregare in memoria di colui che hanno definito un fratello, e hanno seguito la sorella del prete che li abbracciava, uno a uno, ripetendo: “Siete i miei fratelli”. O a Tolosa, nel cortile della scuola ebraica dove, il 19 marzo 2012, Mohamed Merah ha assassinato quattro bambini, tra cui la figlia del direttore della scuola, il rabbino Yaacov Monsonégo, che malgrado il proprio dolore ha accolto a braccia aperte l’arrivo degli imam venuti a rendere omaggio alla sua piccola creatura assassinata».
E subito ecco i commenti tipo (tanto per fare nomi) Informazione corretta: «La marcia ha la stessa efficacia dell’accensione di lumini in memoria delle vittime delle stragi islamiste dopo gli attentati». Gesti e parole in stile Marek Halter sarebbero dunque «concilianti» e «pericolosi» alla stregua di quelli «espressi da Papa Francesco».
Stefano Jesurum, giornalista
(20 luglio 2017)