…giusti
La polemica a proposito dell’articolo pubblicato da Michele Sarfatti su Tablet Magazine circa la partecipazione di Gino Bartali al salvataggio di ebrei dovrebbe attenersi agli strumenti della storiografia, evitando di trascendere in prese di posizione che hanno a che vedere più con le politiche culturali che non con la consistenza delle fonti. Il dibattito, nella sua sostanza, riflette il contrasto strutturale fra Storia e Memoria, su cui sono stati versati fiumi di inchiostro. Le memorie personali, sulle quali tanto lavoro ha svolto negli ultimi decenni anche la Fondazione CDEC con i suoi ricercatori, sono una fonte straordinaria. Tuttavia si tratta – come è noto – di una fonte anche problematica, sia perché tardiva (quasi sempre le testimonianze sono fornite anche a distanza di molti anni), sia perché comunque necessita di riscontri documentari certi, che collochino la vicenda narrata nella cornice storica che – soprattutto per l’età contemporanea – è in genere ben definita già da tempo grazie a ricerche e verifiche incrociate. La figura del Giusto delle Nazioni introdotta da molti decenni dallo Yad Vashem di Gerusalemme ha avuto ed ha ancora un valore enorme: grazie al supporto della ricerca storica che verifica e conferma testimonianze orali e scritte, sono state identificate figure di straordinaria levatura etica e sono state raccontate storie anche minime, la cui forza e simbolicità ha fornito importanti spunti all’enorme lavoro di didattica e divulgazione che nel mondo si va svolgendo a proposito della Shoah e delle altre persecuzioni che purtroppo lacerano la civiltà umana. Fare di questi temi una palestra di polemica non aiuta molto, perché parliamo di cose serie, molto serie. Per intenderci: non è corretto affermare che “Sarfatti lancia un attacco a Bartali e alla Commissione” dello Yad Vashem ; non è questo il piano del ragionamento, e per quanto possa apparire strano scrivere queste parole su un giornale online, non è sul piano giornalistico che si risolve la questione. E’ il linguaggio che è sbagliato. Le osservazioni critiche mosse da Sarfatti sono più che fondate sul piano storiografico, e al netto della forma (un articolo giornalistico privo di note scientifiche, ma con una ricca bibliografia allegata) si avvale dell’enorme esperienza che fa dello storico di origini toscane probabilmente il massimo esperto delle condizioni persecutorie vissute dagli ebrei in Italia sotto il fascismo. Sono osservazioni che mettono in discussione la plausibilità a livello di documentazione e di dinamiche della persecuzione dell’apporto di Gino Bartali al salvataggio degli ebrei rifugiati e nascosti ad Assisi. Ma non se la prende “con Bartali”; dice solo che attorno alla sua figura è stata costruita una narrazione romanzesca. In proiezione, Sarfatti ci dice: attenzione, i Giusti sono importanti soggetti su cui attivare la riflessione storica, ma indaghiamone le vicende con l’ausilio delle fonti documentarie e collochiamoli nella loro corretta dimensione. Lo scrive con chiarezza: la storia delle carte d’identità falsificate che aiutarono molti ebrei a nascondersi e salvarsi merita rispetto e chiede di essere attentamente studiata e documentata, al di là delle testimonianze orali. Se non lo facciamo, se ricorriamo a concetti anche pesanti come la diffamazione, fuoriusciamo dall’ambito storiografico per entrare in quello politico o giudiziario, che si avvale di altri strumenti e a volte ahimé fa a meno delle evidenze archivistiche. Il lavoro di ricerca e la raccolta di documentazione sui Giusti deve continuare perché è importante e perché la dimensione etica della partecipazione dell’uomo alle vicende storiche merita di essere valorizzata: si può sempre dire un sì o un no, come ci hanno insegnato e come proviamo a insegnare. Lo Yad Vashem lo fa con grande attenzione, ed ha bisogno di tutto il supporto dei ricercatori storici che lavorano alla straordinaria documentazione d’archivio ancora in gran parte inesplorata e che attende solo di essere studiata, laicamente e senza modelli precostituiti.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC
(20 luglio 2017)